Prossimo alla fine del mandato presidenziale in Guatemala, Jimmy Morales ha deciso di fare un’ultimo regalo agli Stati Uniti e a Donald Trump, accettando l’accordo per fermare le ondate migratorie.

Presidente del Guatemala dal 14 gennaio 2016, il cinquantenne Jimmy Morales dovrà presto lasciare lo scettro di primo cittadino del Paese centroamericano. La Costituzione, infatti, non gli consente di richiedere un secondo mandato, e, come se non bastasse, Estuardo Galdámez, il nuovo candidato del suo partito, il Fronte di Convergenza Nazionale (in spagnolo: Frente de Convergencia Nacional – FCN), ha raccolto un misero 4.12%, restando escluso dal ballottaggio. Il nome del successore di Morales si deciderà l’11 agosto, quando si sfideranno Sandra Torres dell’Unità Nazionale della Speranza (Unidad Nacional de la Esperanza – UNE) ed Alejandro Giammattei di Vamos por una Guatemala Diferente.
Tralasciando per un attimo le elezioni presidenziali guatemalteche, delle quali ci occuperemo prossimamente in maniera più approfondita, vogliamo soffermarci sull’accordo raggiunto in questi giorni tra gli Stati Uniti ed il Guatemala. Donald Trump, infatti, ha messo in campo tutti i mezzi a sua disposizione per convincere il governo guatemalteco a riconoscere il proprio statuto di “Paese terzo sicuro”, fatto che permetterà agli Stati Uniti di ricacciare in Guatemala i migranti che siano precedentemente transitati in questo territorio, passaggio più o meno obbligato per tutti coloro che provengono da Honduras, El Salvador e Nicaragua.
Jimmy Morales, va sottolineato, aveva tentato di sottrarsi al ricatto statunitense, ma Trump ha fatto pervenire al suo omologo gravi minacce che avrebbero potuto mettere il Guatemala in ginocchio: il divieto di viaggiare negli Stati Uniti per tutti i cittadini guatemaltechi e l’aumento delle tarriffe di dogana e di conversione. Inoltre, Trump aveva già tagliato numerosi fondi dedicati alla cooperazione ed agli aiuti umanitari verso il Paese centroamericano. Ciò non ha comunque risparmiato le critiche dei cittadini nei confronti di Morales, divenuto assai impopolare nel corso del suo mandato presidenziale, oramai soprannominato “il venditore della Patria“.
Grazie alla diplomazia delle minacce di Trump, dunque, tutti i migranti che transiteranno per il Guatemala saranno costretti a fare domanda d’asilo in quel Paese, e gli Stati Uniti potranno invece respingerne le richieste e ricacciare i soggetti in questione in Guatemala, similmente a quanto avviene in Unione Europea con il regolamento di Dublino.
Edgar Gutiérrez, ex ministro degli Affari Esteri del Guatemala (2002-2004), è stato tra i primi a reagire negativamente, affermando che l’accordo farà del Guatemala “il più grande campo di concentramento della storia“. “Attualmente – ha continuato Gutiérrez nella sua intervista al quotidiano El Periodico – transitano in Guatemala 360.000 migranti all’anno. In dieci anni rischiamo di averne milioni“. Per gli Stati Uniti, invece, si tratta solamente di un modo di lavarsi le mani da una crisi umanitaria che Washington ha contribuito a creare nel corso dei decenni, con l’azione delle sue multinazionali in America centrale e con il proprio sostegno a colpi di Stato a ripetizione, ultimo dei quali quello contro Manuel Zelaya in Honduras, avvenuto nel 2009.
Tuttavia, molti analisti hanno fatto notare come l’accordo bilaterale tra Stati Uniti e Guatemala non sarebbe sufficiente per riconoscere questo Paese come “sicuro”. Per essere definito tale, un Paese deve riconoscere all’immigrato il diritto al soggiorno, alla dimora, alla riunificazione familiare, all’accesso alle cure, all’accesso al lavoro ed alla sicurezza personale. Accordi come quello stipulato con il Guatemala, o quello precedentemente preso con il Messico, violano dunque il diritto internazionale, mettendo in ulteriore difficoltà Paesi che già hanno gravi problemi interni, costringendoli a sobbarcarsi ondate migratorie che neppure i Paesi più ricchi, come gli Stati Uniti o quelli dell’Unione Europea, riescono a gestire facilmente. In un Paese politicamente instabile e dalla democrazia fragile come il Guatemala, una grave crisi migratoria potrebbe prestare il fianco al caos politico se non al ritorno delle dittature militari.
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