La vittoria di Evo Morales alle ultime elezioni presidenziali ha messo in moto le forze reazionarie ed imperialiste, costringendo il capo di Stato a rassegnare le dimissioni per andare a nuove elezioni.

Dopo il Venezuela, le forze dell’imperialismo e della borghesia reazionaria sudamericana hanno preso di mira la Bolivia, storico alleato di Caracas sin dai tempi di Hugo Chávez. Lo schema risulta infatti molto simile, visto che anche in Bolivia l’opposizione non ha riconosciuto la vittoria del presidente Evo Morales alle ultime elezioni, ottenendo l’immediato sostegno degli Stati Uniti e dei Paesi allineati a Washington, oltre che, naturalmente, della borghesia nazionale.
Proprio come in Venezuela, le forze contrarie al governo progressista hanno dato vita a disordini in numerose parti del Paese, costringendo Evo Morales ad alzare momentaneamente la bandiera bianca per non permettere l’escalation di violenza: “Ho deciso di rinunciare al mio incarico affinché Carlos Mesa e Luis Camacho (i leader dell’opposizione, ndr) smettano di maltrattare ed arrecare danno a migliaia di fratelli“, ha dichiarato il primo presidente indigeno nella storia della Bolivia. “Ho l’obbligo di perseguire la pace e mi duole che vi siano scontri tra boliviani, per questo rassegno le mie dimissioni all’Assemblea Plurinazionale della Bolivia (il parlamento del Paese, ndr)”. ha aggiunto.
In base alla Costituzione boliviana, il potere sarebbe dunque dovuto passare nelle mani del vicepresidente, Álvaro García Linera, storico braccio destro di Morales, che però ha a sua volta rinunciato alla propria carica, ricordando che il governo socialista è “quello che ha nazionalizzato gli idrocarburi, togliendo più di tre milioni di persone dalla povertà“. In seguito, Adriana Salvatierra, presidente del Senato ed altro esponente del partito di Morales, il Movimiento al Socialismo–Instrumento Político por la Soberanía de los Pueblos (MAS-IPSP), ha fatto lo stesso, dunque la carica presidenziale ad interim è finita nelle mani di Jeanine Áñez, esponente del partito di opposizione Movimiento Demócrata Social (MDS).
Tuttavia, a ben vedere, quello appena avvenuto in Bolivia somiglia molto ad un golpe in vecchio stile, visto che il “consiglio” di rinunciare alla presidenza è arrivato direttamente dal comandante in capo delle forze armate boliviane, William Kaiman: “Suggeriamo al presidente di rinunciare al proprio mandato permettendo la pacificazione e la stabilità della Bolivia“, si legge nel comunicato emesso dal leader dell’esercito.
Difficile, adesso, capire quale sarà il futuro prossimo della politica boliviana. In teoria, dovrebbero tenersi elezioni a breve termine, ma con tutta probabilità l’opposizione farà di tutto per non permettere a Morales di parteciparvi, visto che in tal caso ne sarebbe quasi sicuramente il vincitore. Il presidente, del resto, ha rassegnato le proprie dimissioni con una frase che suona come un commiato: “Abbiamo liberato la Bolivia, stiamo lasciando una patria liberata, in fase di sviluppo e con delle generazioni che hanno molto futuro“. Poco dopo, ha denunciato i tentativi degli avversari politici di arrestarlo illegalmente.
Diversi i messaggi di solidarietà nei confronti di Evo Morales e del suo governo dimissionario: i governi di Cuba, Venezuela e Messico sono stati tra i primi ad esprimere queste posizioni. Il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador ha anche offerto asilo politico a Morales, nel caso in cui sia costretto a lasciare il Paese in seguito al golpe assestato contro di lui. A parlare di colpo di Stato anche il neoeletto presidente argentino, Alberto Fernández, e la sua vice, Cristina Fernández de Kirchner, mentre l’ex presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, appena liberato dal carcere, ha dichiarato che “l’America Latina ha una élite economica che non sa convivere con la democrazia e con l’inclusione sociale dei più poveri“.
Tra le voci più esplicite tra quelle che si sono levate in difesa di Morales, troviamo l’ex senatrice colombiana Piedad Córdoba: “Che sia chiaro. Vogliono lo stagno, l’argento, il rame e tutte le richezze minerarie della Bolivia. Tornerà il FMI, torneranno le privatizzazioni, elimineranno i sussidi“.
Meno numerose, le voci che si sono levate dal mondo occidentale, dove a prevalere, come al solito, è la narrazione dei mass media filostatunitensi, prostrati sempre verso Washington. Fuori dal coro, il leader laburista britannico Jeremy Corbyn ha affermato di “condannare il colpo di Stato contro il popolo boliviano” e di “appoggiare la democrazia, la giustizia sociale e l’indipendenza“.
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