Haiti: grandi incertezze dopo l’assassinio del presidente Jovenel Moïse

Il 7 luglio il presidente haitiano Jovenel Moïse è stato assassinato nella propria residenza privata, scuotendo il Paese caraibico già al centro di una grave crisi politica.

In carica dal febbraio 2017, il presidente haitiano Jovenel Moïse è stato ucciso nella prima mattinata di mercoledì 7 luglio da un gruppo di uomini armati che si è intromesso nella sua residenza privata, nella capitale Port-au-Prince. La notizia è stata data poco dopo dal primo ministro ad interim del piccolo Stato caraibico, Claude Joseph, che ha assunto la presidenza ad interim di Haiti sotto l’egida del Consiglio dei Ministri. Durante la dichiarazione televisiva, Joseph ha affermato che “sono state prese tutte le misure per garantire la continuità dello Stato“. Nell’attentato è rimasta gravemente ferita anche la moglie del defunto presidente, Martine Moïse, trasferita d’urgenza in Florida in condizioni critiche.

Leader del Parti Haïtien Tèt Kale (PHTK), una formazione di centro-destra, Moïse ha vissuto quattro anni di una presidenza molto difficile, con il Paese in preda ad una grave crisi economica e politica, acuita dall’arrivo delle pandemia di Covid-19. Nato nel 1969 nel comune di Trou-du-Nord e laureato in scienze politiche, era considerato come l’erede politico di Michel Martelly, a sua volta presidente dal 2011 al 2016, che ne aveva sostenuto la candidatura. Secondo molti oppositori, nel corso della sua presidenza Moïse avrebbe ringraziato Martelly concedendo ingenti fondi alle compagnie di proprietà del suo predecessore.

Una volta eletto, Moïse ha proposto una riforma costituzionale che gli avrebbe consentito di ricandidarsi per un secondo mandato quinquennale alle prossime elezioni presidenziali, previste per il settembre di quest’anno. Tale proposta è stata fortemente contestata dalla popolazione, che sin dal 2018 ha mostrato il proprio dissenso nei confronti del presidente quando questi, seguendo le indicazioni del Fondo Monetario Internazionale, ha deciso di eliminare i sussidi per il carburante, causando un’impennata dei prezzi della benzina.

Con l’aumentare della crisi economica e politica, e successivamente con l’arrivo della pandemia, le proteste si sono ulteriormente intensificate, arrivando a chiedere le dimissioni di Moïse dalla massima carica. La crisi politica nazionale si è aggravata anche dopo che il presidente non ha concesso lo svolgimento delle elezioni legislative e locali previste per il 2019 e il 2020. L’opposizione ha a quel punto considerato come terminato il mandato di Moïse nel febbraio di quest’anno, nominando Joseph Mécène Jean Louis come “presidente della transizione”. Secondo l’opposizione, infatti, il mandato di Moïse aveva avuto inizio nel 2016, e non nel 2017, visto che le elezioni si erano svolte nel novembre del 2015, anche se queste erano poi state annullate e ripetute l’anno successivo.

L’omicidio di Jovenel Moïse rappresenta il secondo assassinio di un capo di Stato avevnuto quest’anno, dopo quello del presidente ciadiano Idriss Déby nel mese di aprile, ma soprattutto si inserisce in una lunga spirale di violenza che caratterizza la storia di Haiti, uno dei Paesi più poveri del mondo, ma anche il primo Stato dell’America Latina e dei Caraibi a raggiungere l’indipendenza, sin dal 1804, quando si affrancò dal dominio coloniale francese.

Guardando solamente alla storia recente, Haiti è il Paese che ha sofferto la sanguinosa dittatura di François “Papa Doc” Duvalier, salito al potere nel 1957, conquistando il sostegno della Chiesa cattolica e del mondo occidentale grazie al suo fervente anticomunismo. Duvalier mise fuori legge tutte le forze politiche tranne il suo partito, il Parti de l’Unité Nationale (PUN) e creò una forza di sicurezza speciale, nota con il nome di “Tonton Macoutes”, composta principalmente da ex criminali, alla quale era concesso l’utilizzo di ogni forma di violenza per reprimere il dissenso. Secondo alcune stime, durante il suo governo dittatoriale furono uccise tra le 30.000 e le 60.000 persone.

Dopo la sua morte nel 1971, gli successe il figlio Jean-Claude Duvalier, noto come “Baby Doc”, che seguì le orme del padre in fatto di violenza e repressione, almeno fino al 1986, quando una rivolta popolare lo costrinse a fuggire da Haiti per andare in esilio in Francia. Dopo una fase di transizione, nel 1988 le elezioni premiarono Leslie Manigat, la cui presidenza durò però solamente quattro mesi, visto che nel giugno dello stesso anno venne rovesciato dal colpo di Stato del tenente generale Henri Namphy. Quest’ultimo dovette fuggire in Repubblica Dominicana a settembre, quando Prosper Avril lo rovesciò con un nuovo golpe.

Nel 1990, Avril si dimise e concesse lo svolgimento di regolari elezioni, che videro l’emergere della figura di Jean-Bertrand Aristide, un ex parroco che si era candidato sotto i colori di un partito socialista, l’Organizzazione del Popolo in Lotta (Organisation du Peuple en Lutte, OPL). Aristide entrò in carica nel febbraio del 1991 ma, nel mese di settembre, subì un nuovo colpo di Stato. Nel 1994, Aristide riuscì a tornare nel Paese e a terminare il suo mandato fino al 1996, quando gli succedette uno dei suoi principali collaboratori, René Préval. Aristide sarebbe tornato al potere nel 2001, ma nel 2004 fu nuovamente costretto alla fuga dal Paese. Nel 2006, le nuove elezioni sono state vinte da Préval, prima delle già ricordate elezioni di Martelly e Moïse. In questi ultimi quindici anni, il Paese è stato sconvolto da proteste popolari, epidemie, terremoti ed altre catastrofi naturali che hanno ulteriormente minato gli standard di vita della popolazione.

L’assassinio di Moïse, dunque, non può completamente sorprendere in un Paese dove le questioni politiche sono spesso state risolte con la violenza più brutale. È facile prevedere che la morte del presidente possa causare ulteriore instabilità, con numerosi gruppi politici e militari in lotta per la conquista del potere. Al momento, Joseph ha decretato 15 giorni di lutto nazionale e ha dichiarato lo stato d’assedio nella nazione caraibica: “In stretta applicazione dell’articolo 149 della Costituzione e dopo il Consiglio straordinario dei ministri, abbiamo deciso di dichiarare di assedio in tutto il Paese“.

La verità è che Moïse, pur essendo un liberista ed egli stesso un impresario, aveva recentemente perso il sostegno dell’élite economica haitiana, entrando in conflitto con uno degli uomini più ricchi del Paese, Reginald Boulos. Allo stesso tempo, dopo essere stato eletto con il programma di affrancare Haiti dal dominio economico statunitense, Moïse aveva operato un riavvicinamento a Washington nel corso della presidenza di Donald Trump, sposando le posizioni antivenezuelane di quest’ultimo e riconoscendo Juan Guaidó come presidente del Paese sudamericano. L’amministrazione di Joe Biden, però, sembrava intenzionata a “mollare” Moïse, chiedendo lo svolgimento di regolari elezioni entro la fine dell’anno.

La situazione appare alquanto complicata, dunque, per capire di precisio chi siano i mandanti dell’omicidio, e se dietro alla morte di Moïse ci siano solamente i suoi avversari interni o anche stranieri. Il direttore generale della polizia nazionale haitiana, Léon Charles, ha per ora annunciato l’arresto di due mercenari accusati dall’attentato. Nel corso di un comunicato televisivo, il funzionario ha precisato che nell’operazione in corso sono rimaste uccise anche altre quattro persone, mentre continuano le ricerche di altri presunti coinvolti nell’incidente.

Con questa grande instabilità, non è detto che le elezioni possano svolgersi regolarmente a settembre, ed anche in questo caso i principali favoriti per la vittoria non sembrano promettere un futuro radioso per Haiti. Alcuni parlano già di un ritorno di Michel Martelly che – va ricordato – era in precedenza un sostenitore della dittatura duvalierista e membro membro del corpo paramilitare dei “Tonton Macoutes”, mentre altri affermano che Martelly potrebbe delegare la candidatura al suo ex primo ministro, Laurent Lamothe. Infine, non sono in pochi coloro che temono una restaurazione della dinastia dei Duvalier, con una possibile candidatura di Nicolas Duvalier, nipote di François e figlio di Jean-Claude.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

There are 3 comments

  1. Haiti: il nuovo primo ministro Ariel Henry cerca di portare stabilità | World Politics Blog

    […] L’omicidio del presidente Jovenel Moïse lo scorso 7 luglio non ha fatto altro che piombare Haiti in una crisi politica ancora più grande di quella che stava vivendo in precedenza, alla quale vanno aggiunte le difficoltà causate dalla situazione economica dell’isola e da quella sanitaria derivante dalla pandemia di Covid-19, che fino ad ora ha fatto registrare oltre 20.000 casi positivi e 555 morti, secondo le statistiche ufficiali. […]

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