Libia: 70 anni di indipendenza, ma non c’è niente da festeggiare

Il 24 dicembre 1951, la Libia si affrancava per la prima volta dal dominio coloniale ottenendo l’indipendenza. Settant’anni dopo, il Paese nordafricano non riesce ad uscire da una crisi decennale causata dalla guerra imperialista contro Muʿammar Gheddafi.

A lungo colonizzata e divisa tra diverse potenze europee, la Libia assunse il suo nome attuale dopo che, nel 1934, il regime fascista unificò le tre regioni di Cirenaica, Tripolitania e Fezzan in un’unica colonia, riesumando un nome utilizzato dagli antichi romani per indicare l’Africa settentrionale. Dal 1943, in seguito agli eventi bellici della seconda guerra mondiale, la Libia passò sotto l’occupazione degli Alleati, in particolare delle forze britanniche (Tripolitania e Cirenaica) e francesi (Fezzan). 

Il 24 dicembre 1951, venne proclamata la nascita del Regno Unito di Libia, un nuovo Stato indipendente guidato dal re Idris. Il regime monarchico restava tuttavia strettamente legato alle potenze capitaliste occidentali, soprattutto dopo la scoperta delle prime risorse petrolifere nel 1959. La monarchia durò fino al 1° settembre 1969, quando la rivoluzione guidata da Muʿammar Gheddafi depose il re e diede vita prima alla Repubblica Araba di Libia e poi, dal 1977, alla Gran Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista. Il governo di Gheddafi durò, come noto, fino alla guerra imperialista del 2011, che causò la morte del leader e l’inizio di dieci anni di conflitti interni, rendendo impossibile la formazione di ogni tipo di governo stabile.

Effettivamente, i libici speravano di celebrare il settantesimo anniversario dell’indipendenza con lo svolgimento delle elezioni presidenziali previste proprio per il 24 dicembre. Tuttavia, la commissione elettorale ha affermato che sarebbe stato impossibile tenere il voto come originariamente previsto, rimandando le votazioni di almeno un mese.

Alla base di questo rinvio ci sono forti disaccordi tra le fazioni circa le regole elettorali e sui poteri che dovrebbero spettare al presidente e al parlamento. Alle elezioni presidenziali, poi, si sono presentati circa 98 candidati, a dimostrazione della grande frammentazione esistente nel Paese e della poca chiarezza sui criteri che dovrebbero determinare la candidabilità di un individuo. Tra i nomi più noti troviamo quelli di Saif al-Islam Gheddafi, figlio di Muʿammar, il generale Khalīfa Belqāsim Ḥaftar, l’attuale primo ministro ad interim Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh e il presidente della Camera dei rappresentanti, Aguila Saleh Issa

Non va dimenticato, poi, che le varie aree del Paese sono presidiate da milizie armate legate all’uno o all’altro candidato, il che non favorisce certamente lo svolgimento di elezioni regolari. Molti vorrebbero sbarrare la strada alla candidatura di Gheddafi, candidato del Fronte Popolare di Liberazione della Libia, e sicuramente il suo nome non è ben visto neppure dalle potenze imperialiste che per decenni hanno bramato la rimozione di suo padre dal potere, fino a riuscirci dieci anni fa. Nello scorso mese di novembre, ad esempio, alcune milizie hanno chiuso un tribunale per impedire agli avvocati di Gheddafi di presentare i documenti per rispondere a coloro che ne chiedevano la squalifica. 

A dire il vero, non esiste un consenso neppure sulla data delle elezioni. Se la commissione elettorale ha proposto un rinvio di un mese al 24 gennaio, altri chiedono più tempo. Costoro credono che sia necessario più tempo per chiarificare le regole del gioco e assicurarsi che le votazioni possano svolgersi in maniera regolare, mentre altri rispondono che ulteriori rinvii potrebbero ulteriormente esacerbare le rivalità tra fazioni, vanificando i piccoli progressi che si sono visti negli ultimi mesi. Secondo la missione delle Nazioni Unite in Libia, “l’attuale mobilitazione di forze affiliate a diversi gruppi crea tensioni e aumenta il rischio di scontri che potrebbero sfociare in conflitti”. I rappresentanti ONU invitano alla risoluzione di tutti i disaccordi riguardanti le questioni politiche attraverso il dialogo.

I candidati politicamente più preparati potrebbero invece approfittare del rinvio per stringere alleanze e superare il frazionamento dell’arena politica. Secondo alcune agenzie stampa, l’ex ministro degli Interni Fathi Bashagha, l’ex vice primo ministro Ahmed Maiteeq ed il generale Ḥaftar, tutti e tre candidati alle presidenziali, si sarebbero incontrati martedì scorso a Bengasi con l’intento di raggiungere un accordo e presentare una candidatura unica al fine di sbarrare la strada al loro nemico comune, l’attuale primo ministro Dbeibeh, il quale ha tradito la sua promessa di non candidarsi alle presidenziali.

Quello che è certo è che la guerra imperialista contro Gheddafi non ha fatto altro che portare morte e distruzione in quello che era il Paese più prospero del continente africano. Ha sottratto la pace e la stabilità al popolo libico, gettandolo nel caso di una guerra civile senza fine, che potrebbe riprendere da un momento all’altro. E ha anche dato il via alle ondate migratorie attraverso il Mediterraneo, che tanto danno fastidio a coloro che si gongolavano della fine della Giamahiria.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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