Il Communist Party of Britain ha commentato la notizia delle dimissioni di Boris Johnson, che però resterà ancora a capo del governo. Inoltre, i comunisti britannici sostengono il diritto all’autodeterminazione del popolo scozzese.

Per il Regno Unito, quello attuale è uno dei momenti politicamente più difficili della storia recente. Il primo ministro Boris Johnson, che si è fatto portatore delle politiche guerrafondaie statunitensi contro la Russia, ha oramai perso la fiducia sia della cittadinanza in generale che di coloro che in precedenza erano i suoi sostenitori. BoJo non ha potuto far altro che rassegnare le dimissioni da leader dei Tories (Conservative and Unionist Party), ma per il momento resterà ancora alla leadership del governo.
“I topi stanno saltando dalla nave Johnson, ma un cambio di leader conservatore non altererà l’agenda del governo pro-grandi affari, antidemocratico, razzista e guerrafondaio”, ha commentato Tony Conway, del Communist Party of Britain (CPB), in seguito alla notizia delle dimissioni di Johnson. Quelle a cui stiamo assistendo, infatti, sono scaramucce interne all’universo conservatore, che non andranno ad intaccare la linea generale del governo britannico. Al contrario, qualsiasi primo ministro conservatore che dovesse salire al potere in futuro, non affronterà nessuno dei temi che riguardano direttamente il popolo, ovvero il costo della vita, gli alloggi, i cambiamenti climatici e le crisi alimentari.
In qualità di coordinatore della commissione anti-razzismo e anti-fascismo del Partito Comunista, Conway ha anche sottolineato la necessità di capovolgere la politica statale britannica, proposta proprio da Johnson, di deportare i rifugiati in Ruanda, cosa che, secondo lui, “strappa i solenni impegni della Gran Bretagna nel diritto internazionale e umanitario“.
Il comitato politico del CPB ha inoltre condannato la recente decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di abolire il diritto all’aborto, sancito cinquant’anni fa dalla sentenza Roe vs Wade: “Il diritto di scelta di una donna ora deve affrontare una nuova offensiva in Gran Bretagna e altrove“, ha commentato Conway, esprimendo il proprio sostegno a tutti coloro che difendono i diritti delle donne negli Stati Uniti.
Ma i problemi del Regno Unito non si limitano alla crisi del governo londinese. La monarchia britannica, infatti, deve affrontare le sempre più forti spinte centrifughe provenienti da Scozia e Irlanda del Nord, due delle quattro nazioni costitutive del Regno Unito che vorrebbero vedere le proprie strade separarsi da quelle di Inghilterra e Galles.
Per quanto riguarda la Scozia, il primo ministro Nicola Sturgeon, leader dello Scottish National Party (SNP), ha recentemente proposto lo svolgimento di un nuovo referendum sull’indipendenza, da tenersi nel 2023. “I comunisti scozzesi credono che il popolo collettivamente abbia il diritto di determinare il proprio futuro”, si legge sul sito del CPB. “Ciò richiederà la costruzione di un’alleanza che possa isolare e sconfiggere il capitale monopolistico e, attraverso la lotta, esporre la natura sfruttatrice e oppressiva del suo potere e dello stesso Stato capitalista”.
Secondo i comunisti scozzesi del CPB, l’attuale governo conservatore limita i poteri del parlamento scozzese in materie fondamentali come la politica economica. Per queste regioni, il CPB ritiene legittima la proposta di un nuovo referendum sull’indipendenza della Scozia. Tuttavia, il punto di vista dei comunisti differisce da quello del SNP di Sturgeon, in quanto l’attuale governo di Edimburgo propone anche il reintegro della Scozia nell’Unione Europea: “Ciò rischierebbe di incatenare la Scozia a tutte le pressioni neoliberiste delle grandi imprese e privarla dei poteri per intervenire democraticamente nella propria economia”.
Per tali ragioni, il CPB ritiene che una possibile soluzione potrebbe essere quella della creazione di uno Stato federale, in cui la Scozia possa godere di un’autonomia ancora più vasta di quella attuale sulle questioni interne, mentre il parlamento federale britannico avrebbe giurisdizione sugli affari esteri, la difesa, la politica macroeconomica e le assicurazioni nazionali, il potere di aumentare le tasse sulla ricchezza e sul reddito e la responsabilità di ridistribuire il reddito tra le nazioni e le regioni sulla base del bisogno sociale.
Naturalmente questa soluzione implicherebbe un cambiamento di modello economico in tutta la Gran Bretagna, e la fine dei governi conservatori che, dal 2010, dominano ininterrottamente la vita politica britannica.
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