Recensione – “La società dell’emergenza” di Francesco Fantuzzi

Il saggio, edito nel 2024 da Sensibili alle foglie, fornisce una ricca analisi della crisi in corso della democrazia. Le soluzioni proposte stimolano riflessioni utili alla comprensione della nostra condizione storica e alla speranza di un cambiamento.

Segnalo il saggio di Francesco Fantuzzi “La società dell’emergenza. Pandemia, guerra, insicurezza, caos: quale futuro ci attende?” edito nel 2024 da Sensibili alle foglie. 

Il libro offre una chiara, dettagliata e spietata descrizione dello spirito del nostro tempo e della grave crisi politica, economica, sociale, culturale ed ecologica in corso, di cui non riusciamo più a intravedere alcuna soluzione. L’annunciata epoca della globalizzazione, della pace mondiale, del progresso e della libertà, una volta crollata l’URSS si è presto conclusa in conseguenza dei sussulti per la contesa sul nuovo ordine mondiale.

Viene esposta la grave situazione politica ovvero il progressivo arretramento della democrazia per cui è stato anche coniato il termine “postdemocrazia”: le istituzioni nazionali e sovranazionali che detengono il potere rispondono sempre più alle richieste delle lobby industriali e finanziarie, anziché ai popoli. Mentre i governi, a prescindere dai partiti che li sostengono, non si discostano più dalle politiche economiche neoliberiste e di austerità, sfavorevoli ai lavoratori e alle fasce deboli e impiegano modelli di gestione costantemente emergenziali e metodi autoritari.

L’Autore, la cui visione etica appare a mio avviso influenzata dal filone del pensiero occidentale della Scuola di Francoforte, intravede il rischio di una deriva “dis-umanistica”, caratterizzata dallo sgretolarsi dei rapporti tra persone e dalla spettacolarizzazione dell’esistenza (viene citato il saggio del 1967 di Guy Debord), in un ambiente relazionale segnato dal solipsismo narcisistico, in cui tutti si mostrano, nessuno ascolta e gli istinti inconsci non sublimati dominano sulla ragione. Tutto ciò, secondo l’Autore, e a ragione, sarebbe favorito anche dalla diffusione degli strumenti della tecnologia informatica, finalizzati, in ultima analisi, esclusivamente alla massimizzazione del profitto privato, anziché a progetti lungimiranti, razionali, etici e responsabili verso la collettività. Viene quindi richiamato il pericolo del “postumanesimo”, una progetto ancora elitario che auspica l’impiego della tecnica per estendere le possibilità del corpo e della mente umana: una pericolosa riproposizione -quella del postumanesimo-, secondo la tesi di Paolo Ercolani nel saggio “Nietzsche l’iperboreo”, di cui pure consiglio la lettura, della inquietante teoria del superuomo.

Nella parte finale l’Autore -che afferma che il capitalismo è il problema e pertanto esso non può offrire soluzioni- presenta alcune proposte per invertire la rotta, collocabili, a mio avviso, nell’ambito della cultura postmoderna, quali la teoria della “decrescita felice” di Serge Latouche: una prospettiva lodevole e razionale, nonostante alcuni limiti, indispensabile per poter superare la crisi ecologica e il super-individualismo odierno. Chiaramente occorre anche considerare le possibili contromisure che il capitalismo prenderebbe, come le guerre, per far fronte ad un ipotetico calo dei consumi, prima di implodere, se mai dovesse avvenire. D’altra parte, considerate le attuali disparità del livello di consumo nel mondo, si può ipotizzare che la rinuncia ad un dato stile di vita consumistico, il cosiddetto benessere, possa coinvolgere per lo più quella parte più consapevole e sensibile della classe media più acculturata, mentre il mondo nel complesso continuerebbe forse a funzionare senza particolari inceppi o trasformazioni.

D’altra parte ci si può chiedere -ma siamo forse nel campo della teoria politica- se l’attuale crisi, con particolare riferimento al restringimento degli spazi di democrazia e al neoliberismo, caratterizzata dall’arretramento dei diritti sociali conquistati nella seconda metà del secolo scorso, cui deriva la vertiginosa polarizzazione di redditi e patrimoni, non sia altro che la naturale conseguenza dell’incontrastato processo capitalistico, una volta privato degli ostacoli dati dalla presenza dell’Unione Sovietica e dei partiti comunisti di massa.

È comunque certo, e su questo il saggio fornisce un pregevole contributo di riflessione, che un eventuale movimento anticapitalista internazionale, ancorché non certamente all’ordine del giorno, abbia l’indispensabile compito, oltre all’abbattimento del capitalismo e dello sfruttamento di classe, di mostrare la possibilità e persino il guadagno in termini di civiltà e di relazioni intersoggettive di uno stile di vita più sobrio, meno consumistico, meno competitivo e in definitiva più umano. Anzi, si può affermare, ciò costituirebbe un immenso vantaggio per la nostra esistenza materiale e spirituale: non sarebbe un tornare al passato, bensì un percorso di rinnovamento dei rapporti umani e sociali anche a livello etico: come affermava Che Guevara, la rivoluzione necessita anche della costruzione di un homo novus.

Non vi è dubbio che questo libro possa offrire stimoli ad una riflessione critica sul mondo attuale e spunti per un dibattito per la ricerca di possibili percorsi concreti che possano impedire quella che, ad oggi, appare ai più una catastrofe inevitabile di tutto il genere umano.

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