Ungheria: Viktor Orbán vince dicendo sì al gas russo

Vincitore delle elezioni legislative per la quarta volta consecutiva, Viktor Orbán resterà al governo dell’Ungheria per un altro mandato quadriennale, battendo ogni record nella storia del Paese magiaro.

Mentre i serbi confermavano con una maggioranza schiacciante la presidenza di Aleksandar Vučić, nella stessa giornata del 3 aprile l’Ungheria è andata alle urne per le elezioni legislative, che anche in questo caso hanno visto una netta vittoria del governo in carica, quello guidato da Viktor Orbán.

In carica ininterrottamente dal 2010, Orbán otterrà dunque un nuovo mandato quadriennale che potrebbe mantenerlo al potere fino al 2026, senza dimenticare che lo stesso primo ministro aveva già ricoperto la carica una prima volta tra il 1998 ed il 2002. In questo modo, Orbán stabilirà tutti i record di longevità politica del Paese magiaro, superando abbondantemente i dodici anni consecutivi di governo di György Lázár (1975-1987) ai tempi della Repubblica Popolare d’Ungheria.

Analizzando i numeri, la coalizione di governo composta dal partito del premier Fidesz – Unione Civica Ungherese (Fidesz – Magyar Polgári Szövetség) e dal Partito Popolare Cristiano Democratico (Kereszténydemokrata Néppárt, KDNP) ha superato la maggioranza assoluta dei consensi, attestandosi al 54,01% e conquistando un totale di 135 seggi sui 199 scranni che compongono l’emiciclo di Budapest, in base al sistema elettorale misto previsto in Ungheria.

Le principali forze di opposizione avevano dato vita ad una grande coalizione denominata Uniti per l’Ungheria (Egységben Magyarországért), che raggruppava un vasto numero di forze politiche di diversa ideologia, dal Partito Socialista Ungherese (Magyar Szocialista Párt, MSZP) ai conservatori un tempo di estrema destra di Jobbik (Jobbik Magyarországért Mozgalom, ovvero Movimento per un’Ungheria Migliore), tutte a sostegno della candidatura di Péter Márki-Zay come anti-Orbán. Nonostante – o a causa di – quest’unione variegata, la coalizione di opposizione si è fermata al 34.35% delle preferenze e ad appena 56 seggi, nove in meno della precedente legislatura.

La novità è rappresentata dall’ingresso in parlamento di una nuova formazione di estrema destra, il Movimento Patria Nostra (Mi Hazánk Mozgalom), fondata nel 2018 proprio da alcuni dissidenti di Jobbik che si sono rifiutati di accettare la svolta moderata imposta dalla leadership. Con il 6,06% delle preferenze, il Movimento Patria Nostra entra dunque per la prima volta in parlamento con sette rappresentanti. Il quadro dei 199 deputati è completato dal seggio occupato dalla minoranza tedesca.

Gli analisti occidentali, pur ammettendo la legittimità e la regolarità delle elezioni ungheresi, hanno immediatamente attaccato il governo magiaro dicendo che i risultati sono figli della forte influenza che Viktor Orbán e il suo partito esercitano sui media. In realtà, molti attribuiscono questa vittoria schiacciante soprattutto alla capacità del governo in carica di garantire una certa stabilità al Paese in occasione dell’attuale crisi internazionale, in quanto Orbán è stato l’unico leader dell’Unione Europea a non assumere una posizione marcatamente antirussa sul conflitto ucraino. Più in generale, le elezioni ungheresi confermano come, nei momenti di crisi, dalla pandemia alle guerre, i popoli decidano quasi sempre di confermare chi detiene il potere.

Di fronte alle posizioni ideologiche assunte dalla maggioranza dei governi occidentali, il primo ministro ungherese ha dimostrato di avere una visione più realista sulla situazione attuale, sulla linea di quanto fatto da Vučić in Serbia: “La sostituzione del gas russo a buon mercato con il costoso gas americano non avrà successo“, ha dichiarato recentemente Orbán in un’intervista all’emittente radiofonica nazionale MR1 Kossuth Rádió, aggiungendo che considera tali proposte “assurde” e disastrose per l’economia nazionale.

Orbán ha inoltre ricordato che ci sono Paesi che, per la loro posizione geografica e le peculiarità di sviluppo economico, non possono rifiutarsi di importare petrolio e gas russi, semplicemente perché non hanno accesso al mare: “Non si tratta di indossare un pullover la sera e di ridurre un po’ il riscaldamento o di pagare qualche fiorino in più per il gas, ma del fatto che se non ci sono fonti di energia dalla Russia, non ci sarà affatto energia in Ungheria“.

Il primo ministro ha osservato che l’85% di tutto il gas consumato in Ungheria proviene dalla Russia, una cifra che non potrebbe mai essere sostituita del tutto da altre fonti. Nel settembre del 2021 l’Ungheria ha firmato due contratti a lungo termine con Gazprom, che prevedono la fornitura di un totale di 4,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno attraverso gasdotti che provengono da Austria e Serbia, e che non attraversano il territorio ucraino.

Sempre sulla stessa linea, l’Ungheria ha respinto la richiesta dell’Ucraina di consentire la consegna di armi attraverso il suo territorio, come confermato nelle scorse settimane dal ministro degli Esteri magiaro Péter Szijjártó. Secondo il massimo diplomatico ungherese, il governo di Budapest non vuole mettere a rischio la vita e la sicurezza del popolo ungherese: “La sicurezza dell’Ungheria e del popolo ungherese è di fondamentale importanza per noi“, ha affermato Szijjártó. “Per questo, il governo ungherese farà tutto il possibile per evitare che l’Ungheria sia coinvolta nelle ostilità, perché non vuole mettere a rischio la vita delle persone con il transito di armi, che potrebbero diventare bersagli militari“.

Questi punti sono stati ribaditi in diverse occasioni nel corso della campagna elettorale, e sicuramente hanno giocato un ruolo importante nella vittoria di Orbán con oltre la metà del sostegno popolare ed oltre due terzi dei seggi parlamentari. Non a caso, il presidente russo Vladimir Putin, come fatto con Vučić in Serbia, ha inviato immediatamente un messaggio di congratulazioni a Orbán. Secondo il servizio stampa del Cremlino, Putin ha affermato che “nonostante la complessa situazione internazionale, l’ulteriore sviluppo dei legami di partenariato bilaterale risponde pienamente agli interessi dei popoli di Russia e Ungheria“.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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