I comunisti danesi respingono le politiche guerrafondaie di NATO e UE

Il Partito Comunista di Danimarca è una delle poche forze politiche ad essersi schierata contro la partecipazione della Danimarca alla cooperazione europea in materia di sicurezza e difesa, e sostiene l’uscita del Paese scandinavo da NATO e UE.

Il 1º giugno, si è tenuto in Danimarca un referendum per consentire la partecipazione di Copenaghen alla cooperazione europea in materia di sicurezza e difesa, per la quale il Paese nordico aveva chiesto un’esenzione sin dal trattato di Maastricht del 1992, confermando questa decisione nel 2007, data dell’istituzione della Politica di sicurezza e difesa comune (PSDC).

Per la prima volta dunque, un referendum riguardante una questione europea ha ricevuto il consenso dei danesi. Dobbiamo infatti ricordare che, nel 2000, l’elettorato dal Paese nordico respinse l’adozione dell’Euro con il 53,2% dei voti, mentre nel 2015 il 53,11% degli elettori respinse la partecipazione della Danimarca al sistema di giustizia europeo. Quest’ultimo referendum, tuttavia, si è svolto in un clima di terrore mediatico antirusso, con le principali forze politiche ed i media main-stream che hanno sostenuto la sua approvazione in maniera compatta.

Il referendum aveva solamente valore consultivo, ma è stato utilizzato da quasi tutti i partiti politici per sfruttare l’onda emozionale del conflitto ucraino e trovare una legittimazione per le politiche guerrafondaie portate avanti da NATO e Unione Europea con la partecipazione di Copenaghen. Infatti, la misura è stata sostenuta da tutti i partiti borghesi di centro-destra e centro-sinsitra, ed ha trovato ben poche opposizioni, se non quelle degli euroscettici del Partito Popolare Danese (Dansk Folkeparti, DF) e delle formazioni di estrema destra ed estrema sinistra.

A sinistra, il referendum ha rischiato di creare spaccature anche all’interno della Lista dell’Unità – I Rosso-Verdi (Enhedslisten – De Rød-Grønne, EL), formazione che generalmente ottiene attorno al 7% dei consensi elettorali e della quale fa parte anche il Partito Comunista di Danimarca (Danmarks Kommunistiske Parti, DKP).

I comunisti danesi si sono schierati in maniera netta contro la soluzione prevista dal referendum. La formazione guidata da Henrik Stamer Hedin si oppone con fare deciso a tutte le politiche guerrafondaie perpetrate da NATO e UE, proponendo l’uscita della Danimarca da entrambe le organizzazioni.

I comunisti hanno fortemente criticato i partiti di sinistra che hanno sostenuto il referendum e che hanno ammorbidito le proprie posizioni circa l’opposizione alla NATO e all’UE, cedendo alla propaganda mediatica antirussa, definendo questa mossa come “un passo verso destra”. “La realtà è in continua evoluzione, ma il fatto che l’UE sia uno strumento per il libero agire delle forze di mercato e la NATO uno strumento degli interessi imperialisti non è cambiato per niente”, si legge sul sito del DKP.

Dobbiamo lasciare la NATO e l’UE, poiché queste istituzioni non servono altro che gli interessi del capitale”, affermano i comunisti danesi. “Noi stiamo contribuendo direttamente alla NATO aumentando il nostro budget militare annuale di 18 miliardi di corone danesi. Come sempre, il conto sarà pagato dai lavoratori danesi”.

La NATO non crea più sicurezza, la NATO crea insicurezza e disordini. L’abbiamo visto in Serbia negli anni ’90 e lo vediamo oggi in Ucraina. Gli armamenti non creano pace. Invece, dobbiamo disarmare e risolvere i conflitti attraverso i negoziati”, afferma ancora il DKP, che si oppone anche all’invio di armi in Ucraina da parte delle potenze occidentali.

Questo referendum interviene in un momento critico, in cui l’imperialismo occidentale a guida statunitense sta programmando l’offensiva antirussa dal fronte settentrionale. Con il probabile ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO ed una partecipazione più attiva della Danimarca alle operazioni militari, la NATO potrebbe completare l’accerchiamento dell’exclave russa di Kaliningrad e tagliare del tutto l’accesso al Mar Baltico per le navi russe. Quelle che vengono presentate come mosse per garantire la sicurezza europea si rivelano invero come i prodromi di un possibile grande conflitto sul territorio del nostro continente.

Non è un caso che, nei mesi passati, la premier danese Mette Frederiksen, leader dei Socialdemocratici (Socialdemokraterne, SD), abbia aperto le porte anche ad una possibile permanenza delle truppe statunitensi sul territorio danese, a suggellare ulteriormente il ruolo di Paesi vassalli e subalterni che i membri dell’UE recitano in favore del proprio padrone nordamericano.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

There are 1 comments

  1. Danimarca: la svolta a destra di Mette Frederiksen | World Politics Blog

    […] La vicenda danese dimostra ancora una volta come l’opposizione tra forze di centro-destra e centro-sinistra sia in realtà fittizia e volta solamente a dare l’illusione ai cittadini di avere la possibilità di scegliere. Ai toni spesso violenti delle campagne elettorali, infatti, fanno poi seguito alleanze trasversali che dimostrano come le differenze riguardino questioni di secondo piano. I principali distinguo esistenti si limitano dunque alla retorica, in quanto in realtà questi due schieramenti rappresentano due anime della classe dominante che rivaleggiano per ottenere una maggiore fetta del potere politico ed economico. Ma, nel momento della verità, emerge sempre la comunanza di vedute sui temi fondamentali: piena fedeltà al modello economico capitalista e totale genuflessione all’imperialismo atlantista…. […]

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