Cina: la libertà religiosa nello Xinjiang

Urumqi, capoluogo della Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang, ha ospitato lo scorso 10 maggio la Conferenza virtuale sulla situazione della libertà di credo religioso nello Xinjiang.

La Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang, come sappiamo, è oramai da tempo al centro della propaganda anticinese della macchina mediatica occidentale. Il governo di Pechino viene infatti accusato di perpetrare le peggiori nefandezze in questa regione del proprio territorio, sebbene gli accusatori non abbiano mai mostrato prove concrete di quanto affermano. Tra le accuse che vengono mosse alla Cina, c’è quella di sopprimere la libertà religiosa della popolazione, che nello Xinjiang vede un notevole numero di musulmani.

In questo contesto, si è svolta lo scorso 10 maggio la Conferenza virtuale sulla situazione della libertà di credo religioso nello Xinjiang, organizzata ad Urumqi, capoluogo della regione cinese. A presiederla, il portavoce del governo regionale Xu Guixiang, che ha introdotto il tema della libertà religiosa nello Xinjiang, prima di dare la parola ai numerosi ospiti dell’evento, che comprendevano sia rappresentanti delle autorità che comuni cittadini.

I residenti musulmani di tutti i gruppi etnici nello Xinjiang hanno trascorso il Ramadan in tranquillità e armonia dal 3 aprile al 2 maggio 2022. In occasione dell’Eid al-Fitr (la fine del Ramadan, ndr) che è caduto il 3 maggio, persone di tutti i gruppi etnici hanno avuto un giorno libero come previsto dal governo locale”, ha esordito il portavoce Xu. Le festività che si sono tenute in occasione della fine del Ramadan basterebbero da sole a dimostrare che lo Xinjiang rispetta e protegge la libertà di credo religioso.

Durante il Ramadan, i residenti musulmani di tutti i gruppi etnici nello Xinjiang tengono normali attività religiose basate sulla tradizione religiosa e sulla propria volontà. Il culto, il digiuno e l’osservanza delle feste religiose si sono svolti senza intoppi”, ha raccontato ancora Xu, che ha anche mostrato dei video in cui vengono documentate le attività dei fedeli musulmani e delle moschee dello Xinjiang.

Zumrat Obul, membro del Comitato del Partito Comunista Cinese nello Xinjiang, ha ricordato che questa regione rappresenta una delle aree del pianeta più ricche per quanto riguarda le etnie, le culture ed i credi religiosi che vi convivono: “Religioni come l’Islam, il Buddismo, il Cristianesimo, il Cattolicesimo e il Taoismo coesistono in pace e si sviluppano in modo ordinato. I cittadini che credono nella religione o non credono nella religione, o credono in religioni diverse si rispettano e si trattano alla pari. Sono uniti e cooperativi. Persone di tutte le etnie godono pienamente della felicità e della serenità apportate dalla stabilità sociale, dalla solidarietà etnica e dall’armonia religiosa”.

Come affermato dallo stesso rappresentante del PCC locale, la libertà di credo religioso è un diritto ampiamente garantito dalla Costituzione della Repubblica Popolare Cinese, che recita: “I cittadini godranno della libertà di credo religioso. Nessun organo statale, organizzazione sociale o individuo può costringere i cittadini a credere o a non credere nella religione. Né discriminano i cittadini che credono o non credono in nessuna religione”.

Alla legge fondamentale si aggiunge poi regolamento degli affari religiosi della Repubblica Popolare Cinese, il quale stabilisce: “I cittadini hanno libertà di credo religioso. Nessuna organizzazione o individuo deve costringere i cittadini a credere o non a credere nella religione. Né discriminano i cittadini che credono nella religione o non credono nella religione. I cittadini che credono nella religione e che non credono nella religione e i cittadini che credono in religioni diverse devono rispettarsi e vivere in armonia”.

Le persone di tutti i gruppi etnici nello Xinjiang godono della libertà di credo religioso. Spetta interamente ai cittadini decidere se credere o meno nella religione, scegliere di abbandonare una religione in cui credevano o credere in una religione in cui non credevano prima, credere in una religione anziché un’altra, o decidere di credere in una qualsiasi setta della stessa religione”, ha aggiunto Zumrat Obul.

Tuttavia, il relatore ha anche ricordato che la religione non può essere utilizzata come pretesto per “impegnarsi in attività che turbano l’ordine pubblico, danneggiano la salute dei cittadini, interferiscono con il sistema educativo statale, minano l’interesse nazionale, il beneficio sociale pubblico e i diritti e benefici legittimi dei cittadini, o interferiscono con l’attuazione delle funzioni dello Stato nell’amministrazione e nella giustizia”. In effetti, la Cina ha dovuto fronteggiare alcuni gruppi estremisti islamici che fomentavano movimenti per il separatismo e l’indipendenza del cosiddetto Turkestan Orientale, sostenuti anche dai governi occidentali. Ma le operazioni condotte contro i gruppi fondamentalisti non hanno intaccato la libertà di culto garantita ai cittadini.


La diffusione e l’infiltrazione dell’estremismo religioso è stata contenuta”, ha spiegato ancora Zumrat Obul. “L’estremismo religioso ha sostenuto pensieri estremisti, incitato all’odio e all’ostilità nei confronti dei “pagani” e degli “infedeli”, e ha minato la coesistenza armoniosa delle religioni e la solidarietà etnica nello Xinjiang. Ha negato l’Islam tradizionale nello Xinjiang, distrutto l’armonia tra i credenti dell’Islam e danneggiato gli interessi fondamentali dei residenti musulmani. […] Le forze dell’estremismo religioso hanno progettato e condotto frequentemente gravi attacchi violenti e terroristici e ucciso personale religioso, residenti musulmani e altre persone innocenti”.

Contenere l’estremismo religioso secondo la legge è un atto giusto per salvaguardare gli interessi fondamentali dello Stato e del popolo, nonché una parte importante della battaglia della comunità internazionale contro l’estremismo religioso. Lo Xinjiang aderisce alla politica della libertà di credo religioso, protegge le normali attività religiose dei cittadini e promuove la deradicalizzazione, contenendo così efficacemente la diffusione e l’infiltrazione dell’estremismo religioso”, ha concluso.

Abudurekep Tumniyaz, capo dell’Associazione islamica dello Xinjiang e dell’Istituto islamico dello Xinjiang, ha approfondito ulteriormente la tematica della condizione della popolazione musulmana nella regione: “Le attività religiose si svolgono nel pieno rispetto dei desideri delle persone nello Xinjiang. Le organizzazioni religiose ei residenti musulmani di ogni estrazione etnica svolgono normali attività religiose come il culto, il digiuno e l’osservanza delle feste religiose nelle moschee o a casa sotto la protezione della legge. Sta a loro decidere se digiunare durante il Ramadan, se adorare nelle moschee in base alle loro condizioni di salute, vita e lavoro”, ha spiegato.

Nello Xinjiang, i requisiti religiosi dei cittadini religiosi sono pienamente soddisfatti. Il governo rispetta pienamente le usanze tradizionali con sfumature religiose in cibo, feste, matrimoni e cerimonie funebri. I luoghi delle attività religiose come le moschee sono stati rinnovati e preservati, le strutture sono state completate e le condizioni sono state migliorate. È stato formato un gruppo di religiosi con una ricca conoscenza della religione e sono stati pubblicati una serie di canoni religiosi affinché sia ​​garantito lo sviluppo ordinato della religione”.

In altre parole, le situazioni di libertà di credo nello Xinjiang non hanno eguali in nessun periodo storico passato e non saranno smentite da chi rispetta i fatti”, ha concluso.

Le testimonianze di tre comuni cittadini dello Xinjiang hanno rafforzato ulteriormente i punti presentati dai relatori, dimostrando come persone di fede religiosa diversa abbiano la possibilità di praticare i propri culti nel rispetto reciproco e con la tutela delle leggi cinesi e regionali. Ancora una volta, le menzogne prodotte e diffuse dai mass media occidentali, basandosi su studi che non hanno nulla di scientifico, vengono smentite con i fatti.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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