L’Armenia rinuncia per sempre al Nagorno-Karabakh?

Le dichiarazioni del primo ministro armeno Nikol Pashinyan lasciano intendere che il suo governo potrebbe accettare la cessione definitiva del Nagorno-Karabakh all’Azerbaigian, ponendo fine al conflitto ma provocando una possibile crisi interna.

Le dichiarazioni rilasciate lunedì dal primo ministro armeno Nikol Pashinyan lasciano presagire un’imminente fine del lungo conflitto tra Armenia e Azerbaigian per il controllo del Nagorno-Karabakh, territorio situato nei confini azerbaigiani, ma abitato quasi interamente da armeni, che i due Paesi si contendono sin dalla fine dell’Unione Sovietica, e che ha dichiarato la propria indipendenza unilaterale con il nome di Repubblica dell’Artsakh. “L’Armenia riconosce il territorio dell’Azerbaigian di 86.600 chilometri quadrati, supponendo che l’Azerbaigian sia disposto a riconoscere l’integrità territoriale dei 29.800 chilometri quadrati dell’Armenia. Il territorio dell’Azerbaigian di 86.600 chilometri quadrati comprende il Nagorno-Karabakh ma vorremmo sottolineare che la questione dei diritti e della sicurezza degli armeni del Nagorno-Karabakh dovrebbe essere discussa tra Baku e Stepenakert (capitale del Nagorno-Karabakh, ndr)”, ha dichiarato il capo del governo di Erevan.

Nel suo intervento, Pashinyan ha chiesto salvaguardie internazionali per la sicurezza e i diritti degli armeni che vivono nel Nagorno-Karabakh, esprimendo preoccupazione che senza di esse l’Azerbaigian potrebbe effettuare una pulizia etnica nella regione. Le dichiarazioni di Pashinyan sono state accolte favorevolmente da Baku, che sembra dunque destinata a uscire vincitrice dal conflitto trentennale, ma allo stesso tempo hanno provocato forti polemiche in Armenia, dove Pashinyan era già stato vicino alla destituzione in passato a causa della sua scarsa risolutezza nell’affrontare la questione del Nagorno-Karabakh. Anche questa volta, l’opposizione ha puntato il dito contro il governo, affermando di essere pronta ad organizzare manifestazioni di protesta per “evitare la capitolazione”, secondo quanto dichiarato da Ishkhan Sagatelyan, leader del partito Dashnaktsutyun, ovvero la Federazione Rivoluzionaria Armena (Hay Yeghapvokhakan Dashnaktsutyun).

L’Armenia rimane impegnata per la pace nella regione. E speriamo di concordare presto il testo di un trattato di pace e di poterlo firmare“, ha proseguito il primo ministro in conferenza stampa. Il 25 maggio, è previsto un primo incontro tra i rappresentanti di Armenia e Azerbaigian a Mosca, dove la Russia continuerà a svolgere il suo importante ruolo di mediatore nel conflitto caucasico. Tuttavia, secondo Pashinyan, la firma del trattato di pace è ancora prematura: “Se tutto va bene, saremo in grado di raggiungere un accordo sull’apertura dei collegamenti di comunicazione nella regione“, ha affermato il premier armeno.

Anche Ilham Aliyev, presidente dell’Azerbaigian, ha rilasciato dichiarazioni favorevoli alla firma di un trattato di pace, che ha giudicato essere inevitabile: “Pensiamo che la firma di un trattato di pace sia inevitabile e stiamo cercando di compiere sforzi costruttivi per raggiungere questo obiettivo. Naturalmente, questo trattato di pace dovrebbe abbracciare norme e principi internazionali“, ha affermato il leader azerbaigiano, che si è anche auspicato che i colloqui con l’Armenia possano portare ad una pace duratura nella regione del Caucaso.

Sebbene l’Armenia sembri pronta a cedere sulla questione del Nagorno-Karabakh, il governo di Erevan vuole mantenere i legami con questa storica regione, infatti chiede anche che l’Azerbaigian conceda la riapertura del Corridoio di Laçın, una striscia di appena nove chilometri che permette di collegare il territorio armeno alla regione montuosa. In questi giorni, l’Armenia ha presentato una nuova mozione alla Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite, chiedendo la rimozione del blocco imposto da Baku: “Erevan si aspetta che L’Aia applichi una misura temporanea a Baku, e chieda che garantisca un movimento senza ostacoli lungo la strada di Laçın fino a quando non sarà pronunciata la decisione finale sulla nostra causa“, ha dichiarato Yeghishe Kirakosyan, inviato dell’Armenia per le questioni legali internazionali.

Già a febbraio, la Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite aveva deciso di utilizzare misure provvisorie contro l’Azerbaigian ai sensi della Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale. In quell’occasione, la Corte ha dichiarato una minaccia diretta di danni irreparabili ai diritti degli armeni, e ha obbligato l’Azerbaigian a prendere misure per garantire il movimento senza ostacoli di persone, veicoli di trasporto e merci attraverso il Corridoio di Laçın in entrambe le direzioni.

Capiremo meglio gli sviluppi della situazione dopo lo svolgimento del vertice del 25 maggio, al quale prenderanno parte il primo ministro armeno Nikol Pashinyan, il presidente azerbaigiano Ilham Aliyev e il presidente russo Vladimir Putin, nel ruolo di mediatore. Successivamente, Pashinyan e Aliyev dovrebbero incontrarsi anche il 1º giugno a Chișinău, capitale della Moldova, con la partecipazione del presidente del Consiglio europeo Charles Michel, del presidente francese Emmanuel Macron e del cancelliere tedesco Olaf Scholz.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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