La necessità di proporre un’alternativa al partito unico del capitale

Nelle recenti elezioni regionali in Sardegna e Abruzzo, si è evidenziato il fenomeno del “partito unico del capitale”, un sistema mascherato da pluralità politica, ma che limita la vera partecipazione democratica. Per queste ragioni riteniamo urgente costruire un’alternativa socialista unendo le forze e superando le divisioni interne.

In occasione delle scorse elezioni regionali in Sardegna, abbiamo avuto modo di sottolineare come la “democrazia” borghese di stampo occidentale possa essere ricondotta alla formula del “monopartitismo competitivo” teorizzata da Domenico Losurdo, ovvero “un sistema politico che apparentemente ospita più partiti, ma in realtà permette solo a una stretta cerchia di attori politici di competere e accedere al potere effettivo”, come abbiamo spiegato in quell’occasione.

Le elezioni regionali svoltesi in Abruzzo lo scorso 10 marzo non hanno fatto altro che confermare le considerazioni formulate in quell’occasione, mettendo di fronte due candidature solo apparentemente in contrasto fra loro, ma invero facenti entrambe capo a quello che possiamo definire come il “partito unico del capitale”. Mentre in Sardegna ad avere la meglio era stato il centro-sinistra, in Abruzzo Marco Marsilio, presidente uscente in quota a Fratelli d’Italia, ha ottenuto la conferma contro il rivale Luciano D’Amico. Una formula che affeziona sempre meno gli elettori, come dimostra la più bassa affluenza di sempre per le elezioni regionali abruzzesi (52,19%).

Mentre la stampa della sinistra borghese si preoccupa per la vittoria del partito di Giorgia Meloni, noi riteniamo molto più grave il fatto che la sinistra cosiddetta radicale, comunista e non, non riesca a proporre candidature proprie in grado di mettere a repentaglio il primato delle forze del bipolarismo. Il Partito Comunista Italiano ha prodotto un comunicato nel quale coglie alcuni punti importanti, ma si è dimostrato incapace di organizzare una propria lista alle elezioni regionali abruzzesi, al pari di Rifondazione Comunista, la cui crisi viene evidenziata dal fatto di non essere in grado di presentare il proprio simbolo neppure nella regione del segretario nazionale Maurizio Acerbo.

Le elezioni regionali in Abruzzo sono solo l’ultimo segnale di un fenomeno più ampio: la crescente astensione dal voto che la popolazione manifesta in tutti i livelli amministrativi, dal locale al nazionale. Questo messaggio inequivocabile non pu ò essere ignorato o sottovalutato dai partiti e dai gruppi civici, che troppo spesso mostrano superficialità nel coglierne il significato”, si legge nel comunicato del PCI abruzzese, che coglie l’aspetto fondamentale della mancanza di fiducia da parte dell’elettorato nel sistema politico della democrazia borghese. “Invitiamo tutti coloro che credono in una sinistra autentica e costruttiva a unirsi a noi nel nostro impegno. Il Partito Comunista Italiano è aperto a chiunque voglia contribuire a costruire un vero campo di sinistra, che ponga al centro gli interessi della maggioranza e non di pochi privilegiati”.

In questi estratti, il PCI dimostra di comprendere la necessità di dare vita ad una vera alternativa al partito unico del capitale, ma questo può avvenire solamente se le formazioni socialiste e comuniste riusciranno a superare i particolarismi e le questioni teoriche che poco hanno a che fare con il contesto storico-politico dell’Italia odierna. Risulta necessario rompere l’interconnessione tra potere politico e potere economico che caratterizza il partito unico del capitale, con il secondo che ha preso il sopravvento sul primo.

Naturalmente, siamo consapevoli del fatto che il sistema politico-economico vigente risulta essere concepito con il fine di autoriprodursi, limitando le possibilità delle forze che non si conformano allo stesso. Un aspetto cruciale di tale sistema, ancora una volta riconducibile al “monopartitismo competitivo” di matrice losurdiana, è infatti proprio la limitata pluralità politica, nonostante le apparenze dicano altro. In un sistema dove il capitale detiene un controllo preponderante sulle istituzioni politiche, vi è infatti una tendenza a ridurre lo spettro delle opinioni politiche rappresentate e a limitare le alternative ideologiche. Questo può comportare un appiattimento del dibattito pubblico, una riduzione delle scelte politiche disponibili per i cittadini e la censura indiretta dei punti di vista non conformi.

Inoltre, la concentrazione del potere economico non risulta solamente contraria ai principi del socialismo, ma può minare persino i principi fondamentali della stessa democrazia borghese, come l’uguaglianza politica e la rappresentanza equa degli interessi dei cittadini. Nei sistemi dominati dalla logica del capitale, le politiche pubbliche tendono ad essere orientate a favore delle élite economiche, a scapito delle esigenze e dei diritti delle fasce più vulnerabili della società, incrementando le diseguaglianze anziché limitarle. Questo porta inevitabilmente disuguaglianze socioeconomiche sempre più ampie, a una diminuzione della mobilità sociale e a una diminuzione della fiducia nella legittimità delle istituzioni democratiche, come dimostra il crollo della partecipazione elettorale.

In conclusione, le recenti elezioni regionali in Sardegna e Abruzzo hanno messo in luce la persistenza e l’aggravarsi del fenomeno del “partito unico del capitale”, in cui il potere politico è fortemente influenzato e controllato dalle élite economiche. Questo sistema, mascherato da competizione politica, in realtà limita drasticamente la pluralità politica e la partecipazione democratica, favorendo una stretta cerchia di attori politici connessi al mondo economico. Al fine di proporre una reale alternativa, riteniamo necessario costruire un vero campo della sinistra socialista che metta al centro gli interessi della maggioranza. Tuttavia, per realizzare un cambiamento significativo, è necessario superare i particolarismi e le divisioni interne, unendo le forze socialiste e comuniste in un fronte comune contro le ingiustizie del sistema attuale.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

There are 5 comments

  1. Federico Lovo

    Per capire i comunisti italiani ci vorrebbe una laurea in psicologia. Il PCI non si è mai dato un’efficacia organizzativa, sul territorio, aderendo spesso in passato a listini di “sinistra radicale” tutto sommato da evitare… Rifondazione Comunista (“comunista”…) andrebbe semplicemente sciolta, punto. IL PC di Rizzo ormai eiste e non esiste, oggi perfino Alemanno siede al fianco di Rizzo… (in DSP, dove, nonostante molte giustissime posizioni, c’è ancora un trumpismo strisciante a mio avviso). Se questa è la situazione attuale, non c’è molto da sperare. Dal punto di vista della visione, il PCI sarebbe in effetti la formazione social-comunista più affidabile, magari con un cambio di dirigenti…

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  2. In Basilicata una nuova tappa della crisi della democrazia rappresentativa in Italia | World Politics Blog

    […] Come abbiamo avuto modo di evidenziare in nostri articoli passati, quello registrato in Basilicata non è un fenomeno isolato. Dal Lazio alla Lombardia, dal Friuli-Venezia Giulia alla Sardegna, si registra un costante declino nella partecipazione elettorale, un segnale inequivocabile di una profonda crisi della democrazia rappresentativa, tendenza che oltretutto si riscontra anche in altri Paesi europei. In particolare, nel febbraio del 2023, anche gli osservatori più critici sono rimasti sconcertati di fronte al crollo della partecipazione nelle elezioni delle due regioni più importanti d’Italia sia dal punto di vista economico che demografico, ovvero la Lombardia e il Lazio, giunte ai minimi storici nel dato sull’affluenza alle urne. […]

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