L’altra Palestina: il caso del Sahara Occidentale

Il clima di pace relativa che si respira ormai da lungo tempo nel mondo “occidentale” ci fa spesso dimenticare le guerre ed i conflitti ancora presenti in numerose aree del nostro pianeta, le violenze che si perpetrano ogni giorno ai danni dei popoli oppressi. Sebbene queste situazioni siano innumerevoli, solo alcune – come è fortunatamente il caso della Palestina – godono della diffusione mediatica a livello internazionale, mentre molte altre sono note solo a pochi: tra queste ultime troviamo il caso del Sahara Occidentale.

L’OCCUPAZIONE DEL SAHARA OCCIDENTALE 

Il Sahara Occidentale è oggi classificato dall’ONU come un “Territorio non indipendente“. Questa situazione si è originata quando, nel 1976, la Spagna dovette abbandonare l’allora Sahara Spagnolo o Río de Oro, una colonia fondata nel 1884 e poi divenuta protettorato, in seguito alla Marcia Verde dei marocchini. Il 14 novembre 1975, infatti, Spagna, Marocco e Mauritania firmarono a Madrid un accordo che sanciva il ritiro della Spagna e la consegna dei territori ai due Paesi africani. Il Marocco e la Mauritania iniziarono allora l’occupazione di questa vasta area prevalentemente desertica, ma, allo stesso tempo, il popolo Sahrawi dichiarava la propria indipendenza, proclamando la Repubblica Araba Sahrawi Democratica (RASD). Da allora ebbe inizio una lunga guerriglia, condotta dal Fronte Polisario (Fronte di Liberazione Popolare di Saguia el Hamra e Río de Oro), già fondato nel 1973 per ottenere l’indipendenza dai colonizzatori spagnoli, che nel 1979 provocò il ritiro della Mauritania.

La Corte de L’Aia si pronunciò a riguardo, dichiarando che il Sahara Occidentale non era terra nullis, ma indicando anche che né il Marocco né la Mauritania avevano vincoli storici con quel territorio. La Corte aggiunse anche che si sarebbe dovuto procedere ad un referendum di autodeterminazione.

La guerriglia contro l’occupazione marocchina è terminata solo nel 1991, quando l’ONU lanciò l’idea della missione MINURSO (Missione delle Nazioni Unite per il Referendum in Sahara Occidentale), per dare la possibilità al popolo Sahrawi di esprimere la propria volontà attraverso un referendum: ad oggi, il referendum non si è ancora svolto, anche per via dell’ostruzionismo del Marocco, che ha inviato oltre 200.000 coloni per alterare i risultati del voto. Dal 2003, l’ONU ha anche lanciato il piano Baker I, con l’intenzione di creare un’Autorità per il Sahara Occidentale, ma anche questo non ha portato a risultati concreti.

Sin dall’inizio del conflitto con il Marocco, anche per via dei bombardamenti al napalm, gran parte della popolazione del Sahara Occidentale è stata costretta a lasciare la propria terra: oggi, numerosi Sahrawi vivono nel campo profughi di Tindouf, in Algeria, Paese che ha sempre dato il proprio appoggio alla causa di questo popolo contro il Marocco

I CAMPI PROFUGHI DI TINDOUF

I campi profughi nei quali i Sahrawi sono costretti a vivere si trovano nei pressi della città algerina di Tindouf, al confine con il Sahara Occidentale e la Mauritania, sull’altipiano desertico dell’Hammada (“il giardino del diavolo”), a circa 500 metri d’altitudine.

Lo spazio riservato ai Sahrawi, non distante da una base militare algerina, occupa circa 100 kmq di territorio desertico, con piogge quasi assenti, che possono provocare la nascita di corsi d’acqua di breve durata, i “Sabka”. Nel 2005, la pioggia ha addirittura causato delle inondazioni, che hanno danneggiato numerose abitazioni.

L’escursione termica stagionale è elevata: si passa dai 50°C in estate ai -5°C nelle notti d’inverno. Lo scirocco soffia costantemente in estate e spesso innalza tempeste di sabbia, mentre in inverno soffia un vento freddo. Il clima desertico non favorisce la vegetazione, presente solo in una piccola oasi, non distante dalla tendopoli di Dakhla.

Sebbene l’acqua si trovi a sei metri di profondità, essa ha un elevato grado di salinità che la rende spesso inutilizzabile non solo per l’alimentazione, ma anche per l’agricoltura. L’acqua potabile è invece difficilmente reperibile. I campi sono organizzati in quattro wilaya (province: El Ayun, Smara, Auserd e Dakhla) e venticinque da’ira (comuni) che riproducono i nomi delle località del Sahara Occidentale occupate dall’esercito marocchino, con l’esplicita intenzione di mantenere vivo il legame con le terre d’origine, anche per coloro che non le hanno mai viste (Alemanno & Chiostrini, 2006).

I campi profughi di Tindouf ospitano circa 165.000 abitanti (stima del governo algerino e dell’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), tutti classificati come rifugiati in base alla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951 ed il Protocollo di New York sullo status dei rifugiati del 1967. A questi andrebbero aggiunti almeno 26.000 Sahrawi rifugiati in Mauritania che non godono di nessuna assistenza da parte dell’UNHCR . La densità abitativa è di circa 1.650 ab./kmq, che collocherebbe i campi profughi di Tindouf all’ottavo posto del mondo, se si trattasse di un stato o di un territorio indipendente. Questo dato molto elevato della densità abitativa fa capir le difficili condizioni in cui si trova a dover vivere una popolazione in continua crescita, ma costretta in uno spazio molto ristretto in cui scarseggiano i servizi ed i beni di prima necessità.

L’età media è molto bassa, favorita soprattutto dall’altra natalità, ma non vi sono stime precise a riguardo.

Avendo l’ONU riconosciuto il diritto all’autodeterminazione dei Sahrawi, ne consegue il riconoscimento indiretto di questo popolo, presente anche in vari stati (Marocco, Mauritania, Isole Canarie, Algeria) sotto forma di minoranza etnica.

Il popolo Sahrawi ha l proprie origini nel deserto, infatti lo stesso termine “Sahrawi” significa “originario del deserto”: la tradizione parla dell’esistenza di quarantuno tribù prima dell’arrivo degli spagnoli (Alemanno & Chiostrini, 2006). Attraverso la lotta per la propria autodeterminazione, il popolo Sahrawi ha dimostrato di avere coscienza della propria esistenza, basandosi sulle origini comuni e sulla fede nell’Islam sunnita, praticato senza nessuna forma di integralismo ed estremismo.

ORGANIZZAZIONE DELLA SOCIETÀ A TINDOUF

Dopo la proclamazione della RASD, il 27 febbraio 1976, fu varata anche una carta costituzione, rivista successivamente più volte (nell’agosto del 1997, nell’ottobre del 1992 ed infine il 19 giugno 1991). Nella legge fondamentale della RASD si sottolinea l’unità popolare e la natura socialista del nuovo stato, che è già connaturata nei tratti principali della società Sahrawi, nella quale l’elemento comunitario è uno dei fondamenti. Questo è evidente analizzando la struttura politica ed amministrativa che la RASD si è data, con una forma di democrazia che parte dal basso e coinvolge tutta la popolazione.

Nelle venticinque da’ira, ognuna delle quali ha una popolazione che va da quattromila a seimila abitanti ed è divisa in quattro barrios (quartieri), sono presenti dei Congressi popolari di base, aperti alla partecipazione delle popolazione, che hanno la funzione di eleggere il sindaco ed i rappresentanti del Congresso nazionale.

Il Congresso nazionale detiene il potere esecutivo e determina gli indirizzi politici. Ha poi il compito di eleggere i membri del Consiglio della Rivoluzione e dell’Ufficio politico del Fronte Polisario. Il segretario del Fronte assume automaticamente anche la carica di Presidente della Repubblica, infatti esiste un forte legame tra l’organizzazione del partito unico e gli organi dello stato.

Il Consiglio della Rivoluzione ha invece il compito di nominare i membri del Consiglio dei Ministri.

Il potere giudiziario risiede nei tribunali, presenti in ogni da’ira, nelle corti d’appello (una per ognuna delle quattro wilaya) e infine nella corte suprema nazionale.

La partecipazione popolare non si ferma solo al meccanismo della democrazia rappresentativa, ma vi è anche un forte coinvolgimento nelle decisioni che riguardano l’amministrazione delle da’ira e dellewilaya.

In ogni da’ira sono presenti “cellule” formate da dieci membri, responsabili della formazione ideologica. Vi è poi un’Assemblea plenaria del popolo, che elegge ogni due anni il Consiglio popolare, che svolge funzioni prettamente amministrative.

Le strutture fondamentali per ogni da’ira sono però i cinque Comitati popolari. Questi hanno compiti specifici in ognuno dei settori ritenuti fondamentali nella società Sahrawi: educazione, sanità, affari sociali, approvvigionamento alimentare, artigianato. Anche i comitati popolari, come le “cellule” ed il Consiglio popolare coinvolgono la popolazione dal basso. L’attività di questi tre organi di base delle da’ira è coordinata da organi superiori, presenti in ciascuna wilaya, in base alle funzioni assolte: il Consiglio popolare per l’amministrazione (per il Consiglio popolare), il dipartimento per l’orientamento ideologico (per le “cellule”) ed i dipartimenti specializzati per i vari comitati popolari, guidati da un direttore generale per ogni settore.

Ogni wilaya ha il proprio Consiglio popolare: ne fanno parte i presidenti dei consigli delle da’ira, i direttori dei dipartimenti ed il wali (governatore). Quest’ultimo è una sorta di prefetto nominato dal governo, che presiede il Consiglio popolare. Il wali ha poi la funzione di dirigere il dipartimento per l’orientamento ideologico della propri wilaya: il dipartimento è composto dai presidenti dei consigli delle da’ira e dai vari commissari politici, infatti spesso i membri dei due organi della wilaya si sovrappongono.

Questo complesso sistema cerca di garantire l’efficienza amministrativa coinvolgendo tutta la popolazione, che viene resa protagonista nei processi decisionali. La società Sahrawi è infatti organizzata in modo da mantenere un forte carattere democratico ed egualitario. A dimostrazione di ciò, la donna svolge un ruolo fondamentale nella società, godendo di una condizione di privilegio rispetto a quanto avviene in tutte le altre società islamiche ed africane. Le donne sono coinvolte in tutte le attività amministrative e della vita civile della da’ira e della wilaya, oltre che nelle attività produttive. Negli organi amministrativi le donne rappresentano il 20% negli organi elettivi (Alemanno & Chiostrini, 2006) e possono raggiungere anche le più alte cariche della RASD. Svolgono inoltre ruoli fondamentali sia nell’istruzione che nella sanità, e ricevono anche un’educazione militare. Le donne svolgono inoltre il compito di gestione e manutenzione della tenda di famiglia, oltre che della da’ira, e partecipano a tutte le riunioni. Il ruolo della donna ha iniziato ad avere un peso di tale importanza durante il conflitto con il Marocco, quando la gran parte degli uomini adulti era impegnato al fronte, permettendo il coinvolgimento nella società e l’emancipazione della donna, come avvenuto in Italia con le due guerre mondiali. Questo atteggiamento conferma quanto l’interpretazione del Corano si distacchi da ogni forma di integralismo. Ciò si riflette anche nell’istruzione, dove non esiste una disparità tra maschi e femmine nel tasso di alfabetizzazione, oltretutto il più alto di tutta l’Africa (95%).

LE ATTIVITÀ ECONOMICHE LOCALI

Sebbene vi siano delle piccole differenze tra gli averi delle varie famiglie, dovute soprattutto al possesso di più o meno capi di bestiame, la situazione economica dei campi profughi di Tindouf può essere definita come “socialismo reale“: gli approvvigionamenti dipendono esclusivamente dagli aiuti umanitari, dal governo algerino e dalle organizzazioni non governative. Il governo si preoccupa di raccogliere gli aiuti e di distribuirli nella maniera più equa possibile alla popolazione.

La moneta che circola è il dinaro algerino. Le attività principali sono l’allevamento di cammelli e di ovini e l’agricoltura, anche se quest’ultima può essere praticata in misura minima per via delle condizioni climatiche estreme.

La produzione di energia elettrica avviene quasi totalmente per mezzo dei pannelli solari, infatti i Sahrawi sono tra i popoli che utilizzano maggiormente questa tecnologia.

Il territorio del Sahara Occidentale, occupato dal Marocco, è invece ben più ricco di quello in cui sono costretti a vivere i Sahrawi: offre la possibilità di praticare la pesca lungo la costa atlantica, l’agricoltura e la caccia, trattandosi di un’area fertile e ricca di flora e fauna. Il sottosuolo è inoltre ricco di fosfati, in particolare di fosfato tricalcico. Qui si trova la più grande miniera di fosfati al mondo, quella di Bou Craa, con una superficie di 250 kmq. Essa è collegata al mare con il più lungo nastro trasportatore del mondo, di quasi 100 km. Il Sahara Occidentale potrebbe essere il terzo produttore di fosfati al mondo, ma è il Marocco a controllare questa attività, nonostante le Nazioni Unite abbiano più volte sottolineato l’illegalità di questo sfruttamento. Il Marocco ha anche firmato, nel luglio del 2006, un accordo con l’UE, che permette ai Paesi europei di pescare lungo le coste del Sahara Occidentale, contravvenendo alle indicazioni dell’ONU. Le Nazioni Unite hanno inoltre bloccato lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e gas naturale scoperti negli anni 2000.

LE RELAZIONI INTERNAZIONALI DELLA RASD

Il Sahara Occidentale è da tempo il teatro della rivalità tra Marocco ed Algeria. Il Marocco accusa il governo algerino di cercare uno sbocco sull’Oceano Atlantico, mentre l’Algeria dichiara di opporsi all’espansionismo marocchino. La rivalità è stata rinvigorita anche durante la guerra fredda, quando il Marocco si giovava del sostegno occidentale, mentre l’Algeria era appoggiata dall’Unione Sovietica.

Ad oggi, sono ben ottantaquattro i Paesi che hanno riconosciuto la RASD come stato indipendente, anche se trentotto di questi hanno successivamente ritirato o “congelato” il riconoscimento (indicati in grigio scuro sulla cartina). Dei Paesi che riconoscono attualmente la Repubblica, nessuno si trova in Europa (lo fecero solo Albania e Jugoslavia durante l’epoca comunista). Oltre ai membri dell’ONU, altre entità, come l’Autorità Nazionale Palestinese e l’Ossezia del Sud, hanno riconosciuto la RASD.

La RASD è inoltre membro dell’Unione Africana, ed è riconosciuto come uno dei membri fondatori dell’organizzazione. Questa posizione ha portato il Marocco ad abbandonare l’UA nel 1985.

Il Marocco, infatti, considera il Sahara Occidentale come una propria provincia con il nome di Sahara Marocchino, e considera il proprio potere su quest’area come fondato storicamente e giuridicamente. Già nell’800, del resto, il sultano Allal El Fassi, formulò la tesi del “Grande Marocco“, che comprendeva anche Algeria, Mauritania e Mali (Alemanno & Chiostrini, 2006). L’indipendenza di questi stati ha obbligato il Marocco a rivedere propri piani, limitando il proprio imperialismo al solo Sahara Occidentale.

Negli ultimi anni, il Marocco ha avanzato una proposta per l’autonomia del Sahara Occidentale all’interno del regno marocchino, proposta appoggiata dalle principali potenze occidentali e dalla Lega Araba.

Il dialogo tra le due parti si è tuttavia riaperto solamente in occasione delle elezioni marocchine del 2014. Il governo marocchino ha infatti autorizzato l’attività dell’Associazione Sahrawi delle vittime delle violazioni gravi dei diritti umani commesse dallo Stato del Marocco (ASVDH), dopo dieci anni nei quali questa stessa associazione era stata costretta ad operare nell’illegalità. Tra i primi obiettivi di questa associazione fondata da ex prigionieri politici c’è quello di annullare il divieto di riunioni in pubblico e manifestazioni imposto da Rabat sul territorio del Sahara Occidentale, ma anche quello di permettere ad altre associazioni “sorelle” di potersi registrare legalmente e di non dover dunque temere per l’incolumità degli attivisti.

Il Marocco ha rotto un vecchio tabù riconoscendo legalmente un’associazione il cui nome fa riferimento a delle gravi violazioni commesse dallo stato marocchino nei confronti dei Sahrawi“, si legge nel comunicato emesso in quell’occasione da Human Rights Watch. “Ma la vera prova di cambiamento ci sarà se questa organizzazione, così come le decine di altre organizzazioni che sono tutt’ora in un vuoto giuridico, godranno di una maggiore libertà per condurre le loro attività pacifiche legalmente e senza restrizioni“.

BIBLIOGRAFIA

ALEMANNO, Stefano & CHIOSTRINI, Rodolfo (2006), Sahrawi. Viaggio attraverso una nazione
HODGES, Tony (1983), Western Sahara: Roots of a Desert War
HODGES, Tony, & PAZZANITA, Anthony (1994), Historical Dictionary of Western Sahara

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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