L’Iran ha rapidamente scalato la graduatoria dei Paesi più colpiti dal coronavirus, emerso nel Paese proprio nei giorni delle elezioni legislative del 21 febbraio, che hanno fatto registrare un record negativo di affluenza alle urne.
Le statistiche più aggiornate nel momento in cui scriviamo pongono l’Iran al quarto posto dei Paesi più colpiti dal nuovo coronavirus (Covid-19), con 245 casi positivi, ed addirittura al primo posto per decessi al di fuori della Cina, con ventisei eventi.
Il caso iraniano sta assumendo una portata notevole vista anche la diffusione del virus tra personaggi importanti della vita politica del Paese. Nella giornata di giovedì è stata confermata dalle autorità locali la morte dell’ottantunenne Seyed Hadi Khosrowshahi, ex ambasciatore della Repubblica Islamica presso il Vaticano e capo della missione iraniana in Egitto. L’ex diplomatico sarebbe morto nelle prime ore del mattino, dopo essere stato trasferito e ricoverato all’ospedale Masih Daneshvari, secondo l’Iranian News Agency (IRNA).
Nella giornata precedente era invece stata resa nota la notizia del contagio del viceministro della sanità di Tehrān, Iraj Harirchi, infettato insieme al deputato riformista Mahmud Sadeghi. Lo stesso Harirchi ha pubblicato la notizia attraverso i propri account sui social network. Il viceministro ha però anche voluto rassicurare la popolazione: “Volevo assicurarti che con lo sforzo del Ministero della Salute e con il vostro sostegno, del governo e di tutti i pilastri del sistema di prevenzione, nelle prossime settimane avremo successo nella lotta contro questo virus”.
Nelle ultime ore, l’agenzia di stampa iraniana ha annunciato che anche la vicepresidente per gli affari delle donne e della famiglia, Masoumeh Ebtekar, è risultata positiva al test per il coronavirus.
Per l’Iran si tratta di un momento particolarmente critico, che giunge dopo la crisi di inizio anno, che ha quasi portato alla guerra aperta con gli Stati Uniti, ed in corrispondenza delle elezioni legislative del 21 febbraio. Anzi, secondo alcuni, proprio lo svolgimento del processo elettorale avrebbe favorito il contagio, visto che l’Iran conta ben 58 milioni di cittadini aventi diritto al voto ed il primo caso di coronavirus in Iran era stato segnalato solamente due giorni prima della scadenza elettorale, il 19 febbraio.
In questo momento di difficoltà, non poteva mancare il messaggio alla nazione da parte dell’Āyatollāh Seyyed ʿAlī Ḥoseynī Khāmeneī, che ha ringraziato giovedì il ministro della sanità Said Nemeki e tutti i lavoratori del settore sanitario del paese per la loro lotta contro la nuova epidemia di coronavirus: “Esprimo la mia sincera gratitudine al ministro della sanità, ai medici, alle infermiere e al personale medico per aver affrontato e combattuto il coronavirus. Questi sforzi molto preziosi elevano lo stato della comunità medica nel paese e avranno una ricompensa divina”, ha dichiarato Khāmeneī. Il leader della rivoluzione islamica ha inoltre espresso la speranza che l’epidemia di Covid-19 venga eliminata al più presto, prevenendone l’ulteriore diffusione.
Tornando alle elezioni, secondo i primi risultati diffusi, i partiti facenti parte del cosiddetto gruppo dei “conservatori”, ovvero i sostenitori della linea dura, avrebbero ottenuto ben 191 seggi, contro i sedici conquistati dai partiti “riformisti” ed i trentaquattro seggi andati a candidati indipendenti. Sempre secondo le indiscrezioni, il nuovo presidente del parlamento iraniano dovrebbe essere l’ex sindaco della capitale ed ex capo della polizia Mohammad Bagher Ghalibaf, che sostituiranno l’attuale detentore della carica, Ali Larijani. Ad aprile dovrebbero invece svolgersi i ballottaggi per andare a completare la composizione dei 290 scranni dell’emiciclo.
Molti analisti hanno affermato che la crisi di inizio anno con gli Stati Uniti avrebbe favorito i “conservatori”, oltre alla crisi economica persistente favorita dalle sanzioni statunitensi, che però non ha giovato all’attuale governo riformista. Inoltre, anche a causa della nascente epidemia di coronavirus, l’affluenza alle urne è stata la più bassa sin dalla rivoluzione, con una media nazionale del 42.57%, dato che scende addirittura al 25% in alcune città, come la capitale.
Quello che è certo, è che la Repubblica Islamica sta vivendo in questi mesi una fase di crisi con pochi precedenti nei suoi quattro decenni di storia. Le forti tensioni con gli Stati Uniti non stanno sicuramente giovando al regime, ma dall’altro lato hanno favorito il successo elettorale della linea dura, aumentando dunque le possibilità di uno scontro frontale. E, alle elezioni presidenziali dell’anno prossimo, potrebbe vincere un candidato meno moderato dell’attuale presidente Hassan Rouhani.
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