Stati Uniti: e la chiamano democrazia…

Mentre Joe Biden sembra avviato ad una vittoria risicata, la “più grande democrazia del mondo” mostra tutti i suoi limiti, e si prepara a scenari che generalmente siamo abituati a vedere nel cosiddetto “terzo mondo”.

Alla fine, dovrebbe essere Joe Biden il vincitore delle elezioni presidenziali statunitensi. Il candidato del Partito Democratico ha infatti conquistato il Michigan ed il Wisconsin grazie al conteggio ritardato dei voti per corrispondenza, strappando ben 26 grandi elettori che in precedenza sembravano destinati a Donald Trump. Se dovesse conquistare anche il Nevada, dove attualmente possiede un piccolo margine, Biden raggiungerebbe esattamente i 270 grandi elettori, numero minimo per essere proclamato vincitore. In questo modo, a Trump non basterebbe neanche la schiacciante vittoria nella tanto ambita Pennsylvania, che assegna venti grandi elettori, per mantenere la Casa Bianca.

Secondo questo scenario, il risultato potrebbe essere deciso dal grande elettore conquistato da Biden in Nebraska, stato dove Trump vinto nettamente, ma che prevede un sistema di attribuzione misto – unico caso di questo tipo insieme al Maine (dove invece si è verificata la situazione contraria, con Biden che ha vinto e Trump che ha ottenuto un grande elettore). In tutti gli altri stati, infatti, il candidato più votato prende tutti i grandi elettori, mentre in Nebraska ed in Maine il secondo classificato ha la possibilità di vedersi comunque attribuire dei grandi elettori. Questa è solamente una delle falle del sistema elettorale statunitense, all’interno del quale vigono leggi elettorali diverse nei vari stati. Per capirne la contraddittorietà basta fare un esempio: in Wisconsin, Biden ha vinto per meno di ventimila voti di differenza, vedendosi attribuire tutti i dieci grandi elettori dello stato; in Nebraska, invece, Trump ha staccato Biden di quasi venti punti percentuali, o 180.000 schede, ma il candidato democratico ha comunque ottenuto un grande elettore sui cinque in palio.

I democratici sembrano poi in forte vantaggio alla House of Reperesentatives, mentre al Senato la situazione è molto equilibrata, e potrebbe persino finire in pareggio, contando come democratici anche i due senatori indipendenti, Bernie Sanders ed Angus King, di fatto associati ai Dem. In caso di maggioranza repubblicana alla camera alta, invece, si aprirebbe un nuovo scenario di conflitto istituzionale, come già accaduto in passato nella storia degli USA.

Quello che è certo, e che queste elezioni mostrano uno scenario politico fortemente polarizzato all’interno degli Stati Uniti, sostanzialmente tra coloro che amano visceralmente Donald Trump e coloro che invece lo odiano altrettanto profondamente. La campagna elettorale è risultata particolarmente violenta, e non è da escludere che la violenza verbale tra i candidati si tramuti in violenza materiale al momento della dichiarazione dei risultati, vista la natura estremista di molti sostenitori del presidente uscente. Lo stesso Trump, poi, sta già parlando di brogli e si è più volte detto pronto a non riconoscere l’esito delle elezioni. Tale polarizzazione ha anche portato ad un’elevata affluenza alle urne.

La campagna elettorale americana è stata caratterizzata da polarizzazione politica e accuse infondate di falsificazioni sistematiche”, hanno scritto gli osservatori internazionali della Missione internazionale di osservazione elettorale dell’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani (ODIHR) dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). “L’animosità e l’accesa retorica tra i candidati hanno influenzato negativamente il focus delle campagne sulle politiche e le piattaforme dei partiti. I due principali candidati alla presidenza si sono accusati a vicenda di corruzione, frode, lavoro per interessi stranieri, incapacità di guidare e sostenere per i gruppi estremisti”, si legge nel documento. “Accuse infondate di carenze sistemiche, in particolare da parte del presidente in carica, anche la notte delle elezioni, danneggiano la fiducia del pubblico nelle istituzioni democratiche”, ha notato il tedesco Michael Georg Link, leader della missione.

La stessa missione di osservazione ha dichiarato che “la pandemia COVID-19 non solo ha presentato numerose sfide all’organizzazione delle elezioni, ma ha anche avuto un impatto significativo sulla condotta e sul contenuto della campagna”. La missione ha osservato che “la pandemia da Covid-19 ha portato a una pletora di emendamenti a livello statale che avrebbero consentito lo svolgimento delle elezioni proteggendo la salute degli elettori e dei funzionari dell’amministrazione elettorale. Una percentuale significativa di queste misure è stata contestata in tribunale, principalmente da il Partito Repubblicano, provocando lunghe controversie. Ciò a sua volta ha prodotto una grande incertezza giuridica anche nei giorni precedenti le elezioni”.

Infine, la missione dell’OSCE ha sottolineato come alcune categorie di cittadini siano fortemente discriminate o addirittura private del diritto di voto, andando ad influenzare pesantemente l’esito delle elezioni: “Le regole di registrazione e identificazione degli elettori in alcuni stati sono indebitamente restrittive per alcuni gruppi di cittadini […]. Circa 5,2 milioni di cittadini sono privati dei diritti civili a causa di una condanna penale, molti dei quali hanno già scontato la pena”.

Le parole di Trump sul possibile voto truccato e sulla scarsa affidabilità del voto per corrispondenza sono state prese talmente sul serio dai suoi sostenitori che già nelle prime ore dopo la chiusura delle urne vi sono state manifestazioni e scontri in alcune città. A New York vi sono stati scontri tra la polizia e sostenitori di Biden che chiedevano “un conteggio onesto dei voti”, in risposta alle richieste di Trump di sospendere il conteggio in alcuni stati (compresi Pennsylvania, Michigan, Wisconsin e Georgia). Secondo la polizia newyorchese, dieci manifestanti sono stati arrestati.

Sebbene Trump parli soprattutto per convenienza personale, il voto per corrispondenza ha mostrato tutti i suoi limiti. Il giudice federale Emmet G. Sullivan ha ordinato martedì di intervenire presso gli uffici postali di diversi stati, per garantire che tutte le schede del voto per corrispondenza vengano inviate in tempo. La risoluzione si concentra sui nove stati considerati chiave in queste elezioni, ovvero Florida, Pennsylvania, Michigan, North Carolina, Ohio, Wisconsin, Iowa, Arizona e Minnesota. Lo stesso servizio postale statunitense ha ammesso di aver perso circa 300.000 voti, un numero pari alla metà dalla popolazione del Wyoming, ed ha affermato di non essere in grado di applicare la risoluzione del giudice Sullivan. Pur essendoci una base di verità nelle sue affermazioni, Trump dimentica però di sottolineare che la crisi del servizio postale statunitense ha avuto inizio a causa dei tagli imposti dalla sua amministrazione, ed è venuta a galla negli ultimi tempi, proprio al momento delle elezioni.

Insomma, negli Stati Uniti, considerati da gran parte della stampa e dell’opinione pubblica occidentale come “la più grande democrazia del mondo”, stiamo assistendo a scenari che generalmente si verificano in Paesi del cosiddetto “terzo mondo”. Trump, verosimilmente, non accetterà la sconfitta, e procederà per vie legali mentre i suoi sostenitori scenderanno in strada convinti di essere vittima di una frode, dimenticando che lo stesso Trump era stato eletto quattro anni fa ottenendo meno voti di Hillary Clinton, uno scenario impensabile in qualsiasi altro Paese del mondo. Almeno, in questo caso, il numero complessivo di voti sarà effettivamente favorevole a Biden.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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