Myanmar: la giunta militare annulla le elezioni

La giunta militare che ha preso il potere in Myanmar lo scorso 1° febbraio afferma di voler “ristabilire la democrazia”, ma intanto ha annullato le elezioni dello scorso novembre.

Sono passati sei mesi da quando, lo scorso 1° febbraio, Aung San Suu Kyi è stata costretta a rassegnare le dimissioni dal suo incarico di Consigliere di Stato, ovvero capo del governo del Myanmar. La stessa sorte è toccata a Win Myint, che occupava la carica di capo di Stato. Da allora, il Paese è governata da una giunta militare, che ha assunto il potere con il pretesto dell’irregolarità delle elezioni vinte nettamente dalla Lega Nazionale per la Democrazia, il partito di Aung San Suu Kyi, ai danni del Partito dell’Unione, della Solidarietà e dello Sviluppo, la forza conservatrice che di fatto è espressione dell’esercito.

La scorsa settimana, la giunta militare guidata da Min Aung Hlaing ha deciso di annullare ufficialmente il risultato della tornata elettorale dello scorso novembre, nelle quali il partito di governo aveva ottenuto 920 seggi sui 1.177 scranni che costituiscono l’emiciclo di Naypyidaw, la nuova capitale che dal 2005 ha sostituito Yangon. Aung San Suu Kyi ha affermato che tale provvedimento rappresenta un insulto al popolo, e che la commissione elettorale messa in piedi dai militari ignora la volontà popolare e le leggi. In effetti, non sono state fornite prove concrete per confermare l’esistenza di irregolarità nelle elezioni e giustificare dunque tale provvedimento.

La Commissione elettorale dell’Unione, nominata dalla giunta militare, ha dal canto suo affermato di aver riscontrato più di 11 milioni di voti fraudolenti, pari ad un terzo del totale dei voti espressi, oltre a irregolarità nelle liste elettorali, il che tuttavia contraddice le dichiarazioni degli osservatori locali e internazionali che hanno monitorato le elezioni, ritenendole regolari. Gli esponenti della Lega Nazionale per la Democrazia rispondono che l’annullamento delle elezioni costituisce una manovra per legittimare il golpe, sciogliere questa formazione politica e perseguire i suoi vertici per tradimento.

Paradossalmente, dopo aver annullato il risultato delle elezioni, Min Aung Hlaing ha ribadito che l’obiettivo della giunta è quello di “ristabilire la democrazia” nel Paese. Il leader militare del Myanmar si è impegnato a ripristinare un sistema democratico nel paese quando la situazione si sarà stabilizzata, con l’agosto 2023 come scadenza per la sua permanenza al potere, secondo quanto dichiarato nella giornata del 1° agosto. Ciò significa che i militari resteranno al potere per altri due anni, e nel frattempo potranno fare piazza pulita degli esponenti della Lega Nazionale per la Democrazia.

I militari hanno anche dato vita ad un governo provvisorio, guidato dallo stesso generale Min Aung Hlaing, che assumerà la carica di primo ministro, che va a sommarsi a quella di Consiglio di amministrazione dello Stato, mentre il suo vice sarà Soe Win. La presidenza è invece stata assunta sin dal 1° febbraio dal generale Myint Swe, in quanto vicepresidente.

Min Aung Hlaing, nel suo messaggio televisivo di domenica, ha detto che “la Costituzione fissa un limite al periodo dello stato di emergenza“. “Ai sensi del comma (b) dell’articolo 421, se gli obblighi non possono essere adempiuti entro un anno da detto stato, sono consentite due proroghe della durata prescritta per un periodo di sei mesi di ciascuna proroga“, ha affermato, giustificando in questo modo dal punto di vista legale la permanenza del governo militare per i prossimi due anni.

Nel frattempo, Aung San Suu Kyi deve continuare ad affrontare i procedimenti giudiziari mossi contro di lei. L’avvocato del leader politico, Khim Maung Zaw, ha confermato di recente che la giunta militare ha presentato ulteriori accuse contro il suo cliente per presunto coinvolgimento in fatti di corruzione. Khim Maung Zaw ha affermato che le accuse presentate mancano di argomenti. Aung San Suu Kyi, 76 anni, deve già difendersi da altre sei accuse precedenti, comprese la presunta violazione delle normative contro il Covid-19, l’importazione illegale di “walkie-talkie”, e l’incitamento a disordini pubblici.

Nel frattempo, in tutto il Paese proseguono le sommosse popolari per protestare contro il golpe e l’instaurazione del governo militare. Secondo l’opposizione, nei primi cinque mesi dal colpo di Stato sarebbero morte 883 persone negli scontri con le forze dell’ordine, mentre gli arrestati sarebbero stati circa 6.500. Tuttavia, nel mese di giugno la giunta ha concesso il rilascio di circa duemila detenuti, quasi un terzo di tutti quelli imprigionati dal golpe militare.

Nel frattempo, il Paese sta vivendo una situazione catastrofica da molti punti di vista. Da quando la giunta militare ha preso il potere, i dati circa la diffusione dell’epidemia di Covid-19 sono frammentari e certamente sottostimati, considerando il diffondersi della variante Delta in tutti gli altri Paesi dell’Asia sud-orientale. L’ONU ha anche denunciato numerose morti per fame e malattie, come affermato dal relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani in Myanmar, Tom Andrews: “Senza un’azione immediata, potrebbero verificarsi morti di massa dovute a carestia, malattie e mancanza di alloggio“, ha affermato. Inoltre, sarebbero presenti circa 100.000 sfollati nello Stato Kayah, nei pressi del confine con la Thailandia, dove si sono verificati scontri tra l’esercito e le milizie locali, e dove la situazione è delle più critiche.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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