Iraq: perché il Partito Comunista ha boicottato le elezioni

Nel caotico clima politico che si respira in Iraq, il Partito Comunista ha deciso di boicottare le elezioni come forma di protesta contro un sistema che ha perso la fiducia del popolo. Restano grandi dubbi sulla formazione del prossimo governo.

Nel 2018, l’alleanza tra il Partito Comunista Iracheno (al-Ḥizb al-shuyūʿī al-ʿirāqī) e gli sciiti antimperialisti del Movimento Sadrista (al-Tayyār al-Sadri) di Muqtada al-Sadr aveva ottenuto il primo posto alle elezioni legislative. Tuttavia, la grande frammentazione del parlamento e le tensioni internazionali che coinvolgono potenze straniere Iran e Stati Uniti avevano portato alla fine alla nomina dell’indipendente ʿĀdil ʿAbd al Mahdī per il ruolo di primo ministro. In seguito ad una serie di proteste popolari, nel maggio del 2020 al Mahdī aveva accettato di cedere le redini del governo a Mustafa al-Kadhimi, ex direttore dell’intelligence irachena, considerato molto vicino a Washington. Nel frattempo, comunisti e sadristi hanno ritirato il proprio sostegno nei confronti del governo, divenendo le forze trainanti delle proteste popolari.

In questo clima di grande tensione e di incertezza politica, il Partito Comunista ha deciso di non prendere parte alle elezioni dello scorso 10 ottobre. “In assenza di condizioni per elezioni libere ed eque, la partecipazione ad esse significherebbe solo una collusione nel riprodurre lo stesso sistema politico corrotto che è responsabile della catastrofica situazione nel Paese“, ha affermato la dirigenza comunista in una nota ufficiale rilasciata lo scorso luglio. Il Partito Comunista ha anche fatto sapere che stava discutendo con gruppi di protesta e civili per formare un fronte extraparlamentare unificato di “forze democratiche civili su una piattaforma di lotta per il cambiamento“, inclusa la fine dell’attuale sistema politico settario dell’Iraq.

Shaker Farid Hassan, analista politico del Partito Comunista, ha spiegato che “il Partito Comunista Iracheno ha boicottato queste elezioni, non perché si opponga al processo elettorale come esercizio democratico, ma piuttosto perché è convinto che non ci siano le condizioni per garantire che queste elezioni siano credibili, eque e giuste, e che assicurino una vera rappresentanza di volontà del popolo iracheno”.

Anche Muqtada al-Sadr aveva affermato che il Movimento Sadrista non avrebbe preso parte alle elezioni, ma alla fine ha presentato le proprie liste in buona parte delle diciannove province che costituiscono il Paese. Nonostante non fosse presente in tutte le circoscrizioni, il Movimento Sadrista ha ottenuto 73 seggi, risultando la forza più presente nel parlamento di Baghdad. Al secondo posto si è classificato il Partito del Progresso (Ḥizb Taqadum), con 38 rappresentanti, seguito dalla Coalizione Stato di Diritto (I’tilāf Dawlat al-Qānūn), con 34, e dal Partito Democratico del Kurdistan (Partiya Demokrat a Kurdistanê), che ha eletto 32 deputati. Da notare, invece, il risultato decisamente negativo dell’Alleanza Fatah (Iʾtilāf al-Fatḥ), che nel 2018 aveva ottenuto il secondo posto alle spalle dell’alleanza tra comunisti e sadristi, ma che questa volta ha eletto solamente 17 parlamentari.

Con ben quattordici partiti presenti in parlamento, ai quali vanno aggiunti quaranta deputati indipendenti, sarà ancora una volta molto difficile raggiungere la maggioranza di 165 seggi su 329. La situazione attuale rischia dunque di riprodurre pedissequamente quella che si è verificata nella precedente legislatura, oltre al fatto che il nome del primo ministro dovrà sempre essere informalmente approvato da Washington, che di fatto esercita una sorta di protettorato su Baghdad dopo l’invasione imperialista iniziata nel 2003. Per questo motivo i sadristi hanno annunciato che non daranno il proprio appoggio al governo, pur essendo il partito meglio rappresentato nell’emiciclo.

Il dato più importante riguarda però la bassissima affluenza alle urne, pari al 41,05%, che dimostra la scarsa fiducia che gli iracheni nutrono nel sistema elettorale. Se si esclude la provincia curda di Duhok, dove ha votato il 54% degli aventi diritto, l’astensione è risultata maggioritaria in tutto il Paese, raggiungendo quasi il 70% nella capitale Baghdad.

Secondo il Partito Comunista, “il basso tasso di partecipazione è arrivato a confermare la validità delle previsioni circa la profondità del divario tra il popolo e il sistema di governo, e la mancanza di fiducia da parte del popolo nella capacità di questo sistema di formulare e attuare un approccio politico in grado di cambiare la tragica realtà esistente”. Sul sito ufficiale del partito guidato da Raid Jahid Fahmi, si legge che “questo riflette chiaramente il messaggio eloquente inviato da milioni di persone alle forze di governo, attraverso il boicottaggio che è risultato ampio, nonostante tutti gli sforzi, le pressioni e gli appelli fatti da varie forze interne e internazionali. È profondamente significativo che le forze del boicottaggio includessero diversi gruppi sociali, cioè attraversassero i confini settari ed etnici”.

Il segretario Fahmi ha commentato le elezioni ribadendo questa posizione, ed ha affermato che la riluttanza popolare e il boicottaggio politico delle elezioni parlamentari “riflettono la diffusa sfiducia nel sistema politico esistente, e rappresentano un messaggio eloquente a cui tutti dovrebbero prestare attenzione”. D’altra parte, il leader del Partito Comunista ha anche dichiarato che “oggettivamente va rilevato che queste elezioni si sono svolte dal punto di vista procedurale in condizioni migliori rispetto alle precedenti, e il merito di ciò va alla Comissione elettorale e alle forze di sicurezza”.

Nella sua intervista rilasciata al quotidiano La via del popolo, Fahmi ha concluso osservando che “il carattere rappresentativo del prossimo parlamento sarà più debole rispetto ai parlamenti che lo hanno preceduto, poiché troveremo deputati che forse hanno ottenuto il 5% o il 10% dei voti degli elettori della circoscrizione in cui erano nominati, il che significa che quasi il 90% dei cittadini è rimasto senza rappresentanza parlamentare”.

Il Partito Comunista è favorevole alla costruzione di uno Stato civile, democratico e pluralista che soddisfi le aspirazioni del popolo per la libertà, la democrazia, l’indipendenza, la prosperità e il progresso.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

There are 3 comments

  1. Iraq: l’enigma della formazione del nuovo governo | World Politics Blog

    […] Sono oramai passati quasi quattro mesi dalle elezioni legislative che si sono tenute in Iraq lo scorso 10 ottobre. Ad inizio gennaio, si è anche riunito il nuovo parlamento di Baghdad, ma questo non ha portato a passi avanti circa la formazione di un nuovo esecutivo. Questa situazione è dovuta soprattutto alla grande frammentazione dell’emiciclo, con ben 33 partiti presenti, ai quali va aggiunto il corposo gruppo dei deputati indipendenti. […]

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