La posizione dei comunisti irlandesi sulla Brexit

La Brexit, divenuta effettiva lo scorso 31 gennaio, avrà conseguenze dirette non solo per la Gran Bretagna, ma anche per l’Irlanda. Per questo motivo, abbiamo deciso di riportare la posizione del Communist Party of Ireland sulla fuoriuscita di Londra dall’Unione Europea.

Uno dei principali nodi da sciogliere attorno alla Brexit è quello che concerne l’Irlanda del Nord. Secondo molti analisti, l’abbandono dell’Unione Europea da parte di Londra potrebbe rinvigorire le spinte nazionaliste a Belfast e dintorni, con la possibilità che le sei contee dell’Ulster britannico decidano per l’unificazione con il resto dell’isola. Per cercare di ovviare a questo problema, l’accordo sulla Brexit prevederà una barriera doganale non tra Repubblica d’Iranda ed Irlanda del Nord, ma tra isola della Gran Bretagna ed isola d’Irlanda.

Questa mossa, però, rinsalderà di fatto il legame tra le due aree dell’isola irlandese, andando a formare un’unione doganale che potrebbe servire da prodromo per una successiva unificazione politica. Non va sottovalutato, poi, il fenomeno per il quale molti cittadini dell’Irlanda del Nord stanno richiedendo il passaporto irlandese a Dublino, al fine di mantenere i vantaggi del passaporto europeo. Il tutto a pochi giorni dalle elezioni legislative della Repubblica d’Irlanda, previste per l’8 febbraio, con il premier Leo Vardkar, espressione del partito liberale ed europeista Fine Gael (Famiglia degli Irlandesi), che punta alla riconferma.

Per queste ragioni, riteniamo rilevante riportare la posizione del Communist Party of Ireland (in irlandese gaelico Páirtí Cumannach na hÉireann) circa la Brexit e le sue conseguenze, che coinvolgeranno tutti gli irlandesi, sia cittadini britannici che non.


La decisione del popolo britannico di lasciare l’Unione europea il 31 gennaio ha gettato nello scompiglio l’establishment britannico e irlandese negli ultimi tre anni.

Anche la Commissione europea e le forze corporative che serve sono state gettate in uno stato di confusione, nonostante la loro presenza mediatica e la loro offensiva contro le persone che hanno votato per il Leave e, in particolare, contro la classe lavoratrice. Ciò che l’UE teme di più è che l’addio della Gran Bretagna potrebbe rappresentare una svolta significativa e segnare l’inizio della fine della stessa UE.

Ma la Gran Bretagna che lascia l’UE è solo il primo passo in quella che sarà una lotta più intensa all’interno della stessa Gran Bretagna su cosa fare dopo. Il profondo malessere economico, sociale e culturale non si risolverà semplicemente lasciando l’UE, sebbene questa mossa crei sicuramente la base per mezzi più democratici per esprimere la volontà del popolo.

La questione essenziale sia della fuoriuscita della Gran Bretagna che del futuro della stessa UE è il principio fondamentale della democrazia e della sovranità. L’UE è fondamentalmente antidemocratica. Si oppone all’idea di sovranità di qualsiasi Stato o popolo. Il suo imperativo legale e costituzionale è quello di proteggere e far avanzare gli interessi del “mercato”. Tutte le altre questioni sono secondarie rispetto a questa funzione primaria.

Questa contraddizione centrale tra l’imperativo dell’UE di difendere e far avanzare gli interessi delle grandi corporation e il desiderio e le esigenze delle persone all’interno degli Stati membri di avere le capacità di cambiare le politiche e le priorità economiche e sociali che gli vengono negate dai trattati dell’UE, non potrà che crescere.

La sinistra in Irlanda, come negli Stati membri dell’UE, può diventare il campione della democrazia nazionale e della sovranità; in caso contrario, l’ala destra continuerà a crescere e tenterà di mascherare con la sua pseudo-opposizione all’UE il razzismo ed il reazionarismo, lasciando intatte le attuali strutture di potere antidemocratico dell’UE.

Con l’uscita della Gran Bretagna, la tripla dipendenza economica e politica (UE, Stati Uniti e Gran Bretagna) che l’élite al potere irlandese ha costruito non può che subire una crescente tensione, con possibili enormi conseguenze per i lavoratori. Un secolo fa, le condizioni prevalenti hanno portato il nostro popolo a spingersi oltre la richesta di “home rule” (autonomia all’interno del Regno Unito, ndr) e passare ad una posizione più avanzata per chiedere una Repubblica d’Irlanda sovrana e indipendente, che, nel corso dell’ultimo secolo, ha assistito al fallimento dell’establishment irlandese nella sua costruzione.

Con lo Stato britannico che lascia l’UE, non dobbiamo permettere che il confine economico britannico-UE diventi un’altra barriera, una divisione di rinforzo all’interno del nostro popolo. Qualsiasi confine economico tra lo stato britannico e lo stato federale dell’UE deve essere posto nel Mare d’Irlanda. Questa è la sfida che deve affrontare l’opinione democratica in Irlanda oggi.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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