Israele: un governo per la poltrona e contro i palestinesi

La formazione del nuovo governo israeliano non è stata ancora ufficializzata a causa degli scontri interni sulla distribuzione delle cariche. Tutti d’accordo, invece, sulle politiche antipalestinesi.

Il nuovo governo israeliano dovrebbe sorgere tra pochi giorni, figlio del vergognoso accordo tra il primo ministro in carica Benjamin Netanyahu, il suo oramai ex rivale Benny Gantz ed il leader laburista Amir Peretz. Gli ultimi due, dopo aver recitato il ruolo degli avversari del premier, già nel mese di marzo si sono detti disponibili per la formazione di un governo di coalizione. Tuttavia, il nuovo esecutivo non ha ancora visto la luce, principalmente a causa dei dissidi interni per la distribuzione delle cariche ministeriali.

Il Likud (“Consolidamento”), il partito di Netanyahu, è al momento bloccato soprattutto dalla sfida interna tra Nir Barkat e Yoav Galant, entrambi candidati al posto di ministro dell’istruzione. Ex sindaco di Gerusalemme, Barkat è considerato come il più ricco parlamentare israeliano, mentre Galant deve il suo prestigio soprattutto alla sua carriera militare, ed attualmente ricopre l’incarico di ministro dell’immigrazione. La stampa israeliana dà Barkat come favorito, ma il suo avversario non sembra essersi arreso, tanto da causare un ritardo nell’annuncio della nuova squadra di governo.

Barkat, inoltre, andrà alla ricerca di una forma di “risarcimento”, visto che inizialmente Netanyahu gli aveva promesso il Ministero delle Finanze, prima di preferirgli Israel Katz, che lascerà dunque l’incarico agli affari esteri. Il giro di cariche e ministeri sarà molto ampio, al fine di accontentare tutte le forze politiche di questo governo raffazzonato, al punto che la stampa israeliana ha già annunciato che il prossimo esecutivo sarà il più numeroso nella storia del Paese, con un numero di ministeri tra 36 e 38. La maggioranza dei ministri del governo uscente dovrebbe essere confermata, seppur in una posizione diversa, mentre i nuovi ministeri andranno ad accontentare le ambizioni dei sostenitori di Gantz e delle altre forze politiche alleate.

Come noto, dopo diciotto mesi di governo, Netanyahu dovrà cedere il ruolo di primo ministro a Gantz, continuando il walzer delle poltrone. L’ex leader dell’opposizione, nel frattempo, si accontenterà di mantenere gli incarichi di presidente della Knesset, il parlamento unicamerale israeliano, e di ministro della difesa.

In pratica, il prossimo governo israeliano sarà unito principalmente da due fattori: l’unanime smania di occupare posizioni di prestigio e l’avversione per il popolo palestinese, contro il quale proseguiranno le politiche discriminatorie. Come noto, anche grazie all’appoggio dell’attuale amministrazione statunitense, Israele sta bramando la completa annessione della Cisgiordania, dopo aver perpetrato per anni le politiche di colonizzazioni illegali all’interno del territorio palestinese. Mercoledì scorso, il segretario di stato Mike Pompeo si è recato a Gerusalemme per discutere della questione.

Netanyahu e Gantz si sarebbero accordati per procedere all’annessione unilaterale della valle del Giordano, equivalente al 30% del territorio della Cisgiordania, già dal prossimo 1° luglio, sicuri dell’appoggio di Washington, dopo che Donald Trump ha per la prima volta riconosciuto Gerusalemme come la capitale di Israele, in violazione degli accordi internazionali sullo status della città. L’estensione della sovranità israeliana sulla Cisgiordania, del resto, fa parte anche del cosiddetto “piano di pace” proposto dal presidente statunitense, che, se applicato, sancirebbe di fatto la fine dell’esistenza della Palestina come entità distinta da Israele.

Tra le reazioni più stizzite a livello internazionale vi è stata certamente quella del re Abdullah di Giordania, che ha avvertito che se Israele dovesse avanzare con i piani per annettere parti della Cisgiordania, ciò potrebbe portare la Giordania a considerare non più valido l’accordo di pace di ‘Amman stipulato tra la monarchia hascemita e lo stato ebraico, con la conseguente possibilità di un conflitto armato di ampie dimensioni. Intervistato dal quotidiano tedesco Der Spiegel, il sovrano ha affermato che la Giordania continua a sostenere la soluzione dei due stati, ed ha inoltre sottolineato che la realizzazione del piano espansionista israeliano non farebbe altro che alimentare l’estremismo nella regione mediorientale.

Anche diversi Paesi europei hanno espresso la propria preoccupazione per i piani israeliani, tra i quali Francia, Spagna, Irlanda, Belgio, Svezia e Lussemburgo. Al contrario, l’ambasciatore statunitense in Israele, David Friedman, ha affermato che Washington sarebbe pronta a riconoscere con effetto immediato l’annessione da parte di Israele.

A breve termine, tuttavia, Netanyahu ha altre cose a cui pensare: innanzi tutto l’annuncio del nuovo governo dovrà avvenire entro mercoledì, visto che in caso contrario la Costituzione costringerà il presidente Reuven Rivlin a convocare una nuova tornata elettorale; nei giorni successivi, invece, dovrebbe finalmente cominciare il processo contro “Bibi”, già rinviato con la scusa del coronavirus, nel quale il primo ministro più longevo della storia israeliana è imputato per corruzione ed altre nefandezze.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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