Il 5G è una questione geopolitica

Mentre impazzano le teorie del complotto e le posizioni antiscientifiche contro il 5G, la vera partita sulla nuova generazione delle tecnologie mobili si gioca sul piano geopolitico, inserendosi lungo l’asse della nuova guerra fredda tra Cina e Stati Uniti.

Sul 5G, la nascente nuova generazione delle tecnologie mobili, si sente dire davvero di tutto, dall’improponibile connessione tra 5G e coronavirus a complotti e teorie antiscientifiche di ogni tipo. Come al solito, le assurde teorie di scienziati improvvisati non fanno altro che creare confusione tra coloro che fanno fatica ad orientarsi nel mare magnum della rete; allo stesso tempo, una battaglia ben più rilevante attorno al 5G sta veramente avendo luogo, ed è quella tra le grandi multinazionali che sono in procinto di spartirsi le quote di mercato della nuova tecnologia, nonché tra i governi delle principali potenze planetarie, Stati Uniti e Cina in testa.

Tale corsa al 5G si inserisce infatti all’interno della nuova guerra fredda tra Cina e Stati Uniti, con Pechino nettamente in vantaggio nei confronti di Washington. Tutti gli esperti del settore sono del resto concordi nel dire che la cinese Huawei si trova in una posizione decisamente favorevole nei confronti della concorrenza, creando non pochi grattacapi agli USA. Oltre ad essere un’azienda cinese, infatti, Huawei è una società cooperativa più o meno direttamente controllata e finanziata dal governo di Pechino. Al contrario, le multinazionali a stelle e strisce non riescono ancora a trovare il bandolo della matassa, scavalcate anche dalle principali aziende europee, come la finlandese Nokia e la svedese Ericsson.

Volenti o nolenti, coloro che rallentano la nascita della rete 5G per i più svariati motivi stanno facendo gli interessi degli Stati Uniti, intenti a prendere tempo per colmare il gap accumulato nei confronti della concorrenza. Nel frattempo, in Corea del Sud ed in alcune aree della Cina il 5G è in funzione da oltre un anno, e non vi sono testimonianze dei mille eventi infausti che i suoi oppositori prevedono di continuo.

Il fatto che quella del 5G sia una battaglia geopolitica è dimostrato anche dalla recente decisione del governo britannico di estromettere Huawei dalle proprie reti nazionali. Il premier Boris Johnson, naturalmente, non ha fatto questa scelta autonomamente, ma in risposta alle pressioni provenienti dall’altra sponda dell’Oceano Atlantico: era stato lo stesso governo, del resto, ad aprire le porte all’azienda cinese, per poi introdurre alcune limitazioni nel mese di gennaio. La marcia indietro non può essere certamente stata causata da un improvviso ripensamento, bensì da influenze provenienti dall’esterno. A dirla tutta, per il Regno Unito tale decisione rappresenterà unicamente un danno, dovendo distruggere entro il 2027 le installazioni già costruite dalla Huawei per un costo di oltre due miliardi di sterline, mentre la rete 5G britannica entrerà in funzione con due o tre anni di ritardo rispetto a quanto inizialmente previsto. Le conseguenze nefaste dell’esclusione di Huawei sono state esposte direttamente dal ministro Oliver Dowden, responsabile del digitale e della cultura.

Oltre al Regno Unito ed agli Stati Uniti, anche Australia e Nuova Zelanda hanno deciso di escludere Huawei dalla corsa al 5G sui propri territori. Solamente il Canada, tra i cinque grandi Paesi anglosassoni del pianeta, riuniti nell’alleanza di intelligence denominata Five Eyes, ha fino ad ora rifiutato di genuflettersi ai diktat della Casa Bianca, che tratta i propri alleati alla stregua di colonie. Non è un caso che Liu Xiaoming, ambasciatore cinese a Londra, abbia designato il Regno Unito come uno stato vassallo degli USA.

Conquistata Londra, gli Stati Uniti hanno iniziato a fare la stessa richiesta agli altri Paesi europei, con Donald Trump che ha cominciato esplicitamente a fare pressione sui principali governi del continente. In Germania, la questione Huawei ha creato anche una spaccatura interna al governo, con il ministro degli esteri Heiko Maas che sembra voler appoggiare la richiesta di Washington, mentre il ministro dell’economia Peter Altmeier, conscio dei danni che tale scelta provocherebbe, si è immediatamente espresso contro l’esclusione dell’azienda cinese. La Deutsche Telekom ha del resto già annunciato che la rete 5G tedesca è pronta ad essere ultimata con la collaborazione di Huawei ed Ericsson, di conseguenza un’improvvisa estromissione dei cinesi rappresenterebbe un danno ingente per Berlino, quantificabile in tre miliardi di euro e ben cinque anni di ritardi. La situazione sarebbe talmente drammatica che un dossier interno alla Deutsche Telekom ha denominato tale eventualità come un “armageddon”.

In Francia, l’agenzia nazionale francese per la sicurezza dei sistemi informatici (Anssi) ha eufemisticamente affermato che “non vieterà Huawei, ma incoraggerà gli operatori 5G ad evitarlo e chi lo usa riceverà autorizzazioni operative limitate a otto anni”, come dichiarato dall’amministratore delegato Guillaume Poupard. Un modo per cercare di fare contenti tutti, ma che in realtà rischia di non soddisfare nessuno. Tra gli altri Paesi coinvolti vi sono anche Irlanda, Svezia e Ungheria, dove le installazioni targate Huawei sono già presenti e pronte ad entrare in funzione a breve termine.

Anche l’Italia sembra essere in procinto di seguire la strada della Francia: il governo non vorrebbe imporre un bando totale di Huawei, ma allo stesso tempo è pronto ad accontentare gli Stati Uniti, stilando una serie di limitazioni che di fatto renderanno la vita difficile all’impresa cinese. La TIM ha recentemente escluso Huawei dai suoi test per il 5G, ma questa è stata una mossa poco più che formale, visto che le due società non hanno mai collaborato in passato. Per l’Italia, un cedimento sarebbe comunque un atto di genuflessione inammissibile, proprio da parte di quel governo che non molto tempo fa ringraziava la Cina per gli aiuti forniti contro la pandemia da nuovo coronavirus e firmava anche il memorandum d’intesa con Pechino per la realizzazione della Belt and Road Initiative, la cosiddetta “nuova via della seta”.

Al contrario dei Paesi europei, che sono sempre pronti ad obbedire quando gli ordini arrivato dal District of Columbia, l’India, nonostante le recenti tensioni al confine con la Cina e la storica rivalità tra i due giganti asiatici, per il momento si è rifiutata di aderire al boicottaggio di Huawei. Il governo di New Delhi, infatti, è cosciente che un tale passo indietro provocherebbe un aumento dei costi del 30%, causando un rinvio della realizzazione delle infrastrutture per il 5G. Lo stesso dicasi per gran parte dei Paesi asiatici, anche quelli meno amici di Pechino, che hanno deciso di affidarsi a Huawei per la realizzazione delle proprie reti.

In conclusione, i tentativi di rallentare l’installazione della rete 5G sono figli del ritardo accumulato dagli Stati Uniti nei confronti della Cina per quanto riguarda la nuova generazione delle tecnologie mobili. Per il momento, Washington sta facendo pressione per estromettere Huawei dal mercato internazionale, ripiegando sulle principali aziende europee del settore, come Nokia ed Ericsson. In questo modo, causando un rallentamento nell’attivazione delle reti, le multinazionali statunitensi sperano di recuperare il ritardo e di diventare concorrenziali, ma ciò potrà avvenire solamente se i governi europei decideranno ancora una volta di piegarsi cadavericamente ai diktat della Casa Bianca. Nel frattempo, coloro che per i più svariati ed infondati motivi continuano ad opporsi al 5G continuano incosciamente a fare il gioco dell’imperialismo a stelle e strisce.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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