In seguito al boicottaggio degli indipendentisti, il referendum per l’autodeterminazione della Nuova Caledonia ha visto una netta maggioranza di voti favorevoli al mantenimento dello status quo sotto la sovranità della Francia.

Il 12 dicembre si è tenuto il terzo ed ultimo referendum per l’autodeterminazione della Nuova Caledonia, isola dell’Oceano Pacifico che costituisce una collettività d’oltremare della Repubblica Francese. L’esito di questo voto, benché contestato dai settori indipendentisti, dovrebbe porre teoricamente fine alla disputa sulll’indipendenza da Parigi, secondo quanto previsto dall’Accordo di Nouméa stipulato nel 1998.
A lungo contesa tra britannici e francesi, l’isola della Nuova Caledonia entrò ufficialmente a far parte dell’impero coloniale di Parigi nel 1853, venendo poi trasformata in colonia penale dal 1864 al 1904. Nonostante alcuni timidi moti per l’indipendenza, è solamente dal 1985, con l’attività politica del Front de Libération Nationale Kanak Socialiste (FLNKS), che la rivendicazione dell’indipendenza ha assunto un ruolo cruciale nella politica dell’isola principale e delle altre isole minori che si trovano sotto la sua amministrazione (l’arcipelago delle Isole della Lealtà – Maré, Lifou, Ouvéa, Tiga, Mouli e Faiava – e l’Isola dei Pini).
Sotto la guida del leader Jean-Marie Tjibaou, morto assassinato nel 1989, il FLNKS ha formulato la proposta dell’indipendenza della Nuova Caledonia con l’assunzione del nome di Kanaky, che secondo i suoi sostenitori sarebbe la denominazione originariamente data dalla popolazione autoctona, chiamata in francese “kanake“. Nel frattempo, preoccupata per il mantenimento della propria sovranità sulla Nuova Caledonia, fondamentale soprattutto per la produzione di nichel (qui si trova il 25% delle risorse mondiali), la Francia ha concesso un’ampia autonomia a questo territorio, stipulando gli Accordi di Matignon nel 1988 e l’Accordo di Nouméa nel 1998.
Proprio quest’ultimo trattato prevedeva lo svolgimento di un referendum a vent’anni di distanza, nel 2018. La consultazione, in quel caso, vide la polarizzazione dello scontro tra i due principali gruppi etnici della Nuova Caledonia: da un lato i canachi, eredi della popolazione indigena melanesiana, favorevoli all’indipendenza; dall’altro, i caldachi, discendenti dei colonizzatori francesi, numericamente minoritari ma decisamente più ricchi, che invece vogliono mantenere il legame con la madrepatria (a questi si aggiungono poi le tante minoranze provenienti soprattutto dalle isole dell’Oceania e da alcuni Paesi asiatici). Il primo referendum per l’autodeterminazione vide una partecipazione abbastanza importante (80.63% di affluenza alle urne), pari a quasi 139.000 elettori sui 175.000 aventi diritto, ma il 56.67% si espresse contro la soluzione indipendentista.
Tuttavia, lo stesso Accordo di Nouméa prevedeva che il referendum potesse essere ripetuto due volte. La seconda consultazione ha avuto luogo nell’ottobre del 2020, con una partecipazione ancora più elevata rispetto a quella del 2018 (85.69% di affluenza alle urne). Nonostante la crescita del fronte indipendentista, anche in questo caso i contrari (noti anche con la denominazione di lealisti) hanno ottenuto la maggioranza dei voti (53.26%), confermando lo status quo di dipendenza francese.
Si è così arrivati al terzo ed ultimo referendum per l’autodeterminazione della Nuova Caledonia, organizzato, come detto, lo scorso 12 dicembre. Al contrario delle due consultazioni precedenti, però, questa volta le forze indipendentiste dell’isola hanno deciso di boicottare il referendum, portando la partecipazione solamente al 43,87% degli aventi diritto, comunque decisamente superiore alla soglia del 25%, necessaria per considerare valido il risultato. Senza sorpresa, il 96,50% dei votanti si è espresso contro l’indipendenza, verdetto che dal punto di vista dell’Accordo di Nouméa dovrebbe chiudere per sempre la disputa.
Secondo gli indipendentisti, il referendum non avrebbe dovuto avere luogo a causa dell’emergenza di Covid-19 e dell’avvicinarsi di alcuni cicloni con annesso rischio di straripamento dei corsi d’acqua. Il 12 dicembre era inoltre stato proclamato dal Senato locale come “giornata in memoria delle vittime del Covid-19”. Al contrario, i fautori dello status quo affermano che gli indipendentisti avrebbero solamente accampato scuse per rimandare un referendum che già sapevano di perdere. Dal punto di vista giuridico, come detto, il voto si è svolto in maniera del tutto regolare e la partecipazione ha raggiunto la soglia minima prevista, dunque non ci sono dubbi sulla validità del verdetto. Tuttavia, gli indipendentisti chiedono di non considerare valido questo referendum e di organizzarne un altro nel 2022.
In seguito alla pubblicazione dei risultati, il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato di “un periodo di transizione” al fine di “costruire un progetto comune, riconoscendo e rispettando la dignità di tutti”. “Stasera la Francia è più bella perché la Nuova Caledonia ha deciso di farne parte”, ha aggiunto Macron.
Secondo alcuni analisti, il risultato discusso e le forti tensioni interetniche potrebbero esacerbare la situazione a danno della comunità indigena più povera, il che potrebbe anche portare al risorgere di attentati e violenze come nel corso degli anni ‘80. Il FLNKS, infatti, ha definito l’insistenza del governo per portare avanti il referendum “una dichiarazione di guerra“. Il movimento indipendentista ha minacciato di non riconoscere il risultato di domenica e ha promesso di appellarsi alle Nazioni Unite per la sua cancellazione.
La Francia, dal canto suo, teme fortemente di perdere la Nuova Caledonia non solo per le riserve di nichel dell’isola e per i diritti allo sfruttamento delle acque dell’Oceano Pacifico che derivano dalla sovranità su questo territorio, ma anche perché una Nuova Caledonia indipendente potrebbe entrare nell’orbita della politica cinese per la regione Asia-Pacifico: “Se la salvaguardia francese scomparisse, ci sarebbero tutti gli elementi affinché la Cina si stabilisca permanentemente in Nuova Caledonia“, ha affermato l’analista delle relazioni internazionali francese Bastien Vandendyck all’agenzia AFP.
La soluzione di Parigi sarebbe quella di mantenere la sovranità sulla Nuova Caledonia concedendo però al governo locale una maggiore autonomia, soluzione già attuata con la Polinesia Francese. Entro giugno 2023 è previsto un altro referendum che deciderà sul “progetto” che la popolazione della Nuova Caledonia vuole perseguire, con la possibilità di scegliere sul grado di autonomia di cui potrà godere il parlamento di Nouméa.
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