Iraq: il Partito Comunista chiede nuove elezioni e il rispetto della volontà popolare

A Baghdad continuano le proteste mentre il parlamento cerca di approvare un governo che escluderebbe il partito più votato alle ultime elezioni.

Dalle elezioni dello scorso ottobre, l’Iraq non è ancora riuscito a dotarsi di un governo che possa risollevare le sorti del Paese. I veti incrociati tra le fazioni politiche, infatti, non hanno permesso a nessuno di formare una maggioranza in grado di governare, nonostante gli sforzi di Muqtada al-Sadr, leader del Movimento Sadrista, il partito che ha ottenuto il maggior numero di preferenze.

La crisi politica ha però raggiunto il proprio apice quando si è fatta largo la prospettiva di un governo che escluderebbe i sadristi, al fine di dare vita ad un esecutivo guidato da forze filo-iraniane. A capo dell’esecutivo verrebbe posto Mohammed Shia al-Sudani, già ministro ed e governatore provinciale. A quel punto, i sostenitori di al-Sadr hanno preso d’assalto il parlamento per protestare contro la corruzione e il mancato rispetto della volontà popolare.

Il Partito Comunista Iracheno non ha partecipato alle ultime elezioni, avendo deciso di boicottarle come forma di protesta contro il sistema politico corrotto. Tuttavia, i comunisti avevano stretto un’alleanza proprio con il Movimento Sadrista nella precedente legislatura, avendo vinto insieme le elezioni del 2018. Il Partito Comunista sostiene un’Iraq che sia libero dalla corruzione e dalle ingerenze straniere, siano queste occidentali o iraniane.

È diventato chiaro che il Parlamento, con la sua attuale composizione, non è in grado di gestire la crisi sempre più profonda e onnicomprensiva e di affrontarne gli effetti cumulativi”, si legge sul sito del Partito Comunista. “Pertanto, il primo passo per disinnescare la crisi è abbandonare posizioni ostinate e interessi ristretti, porre fine alla sottomissione alle forze esterne e procedere invece verso lo svolgimento di elezioni anticipate libere ed eque in cui il popolo abbia l’ultima parola e possa esprimere la sua reale volontà”.

Il Partito Comunista pone anche delle condizioni da rispettare per fare in modo che le elezioni riflettano realmente la volontà popolare:

1. Promulgare una legge elettorale giusta, prima dello scioglimento del parlamento, che garantisca la reale rappresentazione della volontà degli elettori. Ciò non sarà possibile a meno che la partecipazione di forze patriottiche e organizzazioni pertinenti non sia ampiamente consentita nella stesura della legge, sotto la supervisione della Missione delle Nazioni Unite.

2. Formare una Commissione Elettorale veramente indipendente che non sia soggetta al sistema di quote etno-settarie, né nel suo Consiglio né nella sua struttura amministrativa.

3. Piena attuazione della legge sui partiti e divieto di partecipazione alle elezioni per qualsiasi blocco politico che non riveli le proprie fonti di finanziamento.

4. Ridurre l’uso del denaro politico per influenzare i risultati delle elezioni, stabilendo un chiaro meccanismo di spesa per le campagne elettorali e ritenendo responsabili i trasgressori.

5. Divieto alle milizie e ai partiti che hanno gruppi armati di partecipare alle elezioni, attuando la legge.

6. Garantire la supervisione internazionale e locale sullo svolgimento delle elezioni, al fine di garantire tutti i requisiti per la loro integrità.

Secondo i comunisti iracheni, “la lotta in corso per il potere tra le forze dominanti non rappresenta una lotta per i progetti di costruzione dello Stato, ma piuttosto un’estensione della lotta per la condivisione della ricchezza e dell’influenza”. “Sulla base della nostra preoccupazione per il consolidamento di un’azione politica pacifica e democratica, chiediamo l’organizzazione di elezioni anticipate eque e oneste che esprimano la vera volontà degli iracheni, e che esse siano organizzate da un governo ad interim veramente indipendente che goda di accettazione nazionale”.

In questo momento delicato, riaffermiamo il nostro progetto politico democratico, patriottico, che richiede un ‘cambiamento globale’ per costruire uno stato civile democratico sulla base della cittadinanza e della giustizia sociale, un cambiamento per realizzare le aspirazioni del nostro persone per una vita libera e dignitosa“.

È bene ricordare che, dopo l’invasione armata statunitense del 2003, l’Iraq non ha mai ritrovato la propria stabilità politica. Dalla rifondazione della Repubblica dell’Iraq, nel giugno del 2004, il Paese ha sempre avuto governi precari, che hanno basato il proprio potere sugli equilibri tra gli interessi dei gruppi etnici e le ingerenze straniere. Attualmente, il governo è guidato dal primo ministro ad interim Mustafa Al-Kadhimi, entrato in carica nel maggio del 2020, ma che da tempo oramai non gode del sostegno parlamentare.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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  1. Lo stato della democrazia negli Stati Uniti (2022) | World Politics Blog

    […] Un articolo pubblicato dall’agenzia di stampa turca Anadolu nel marzo 2022 sosteneva che, in nome della promozione della democrazia, gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq per motivi infondati e hanno causato immense sofferenze alla popolazione locale. In primo luogo, l’abuso delle sanzioni ha aggravato le difficoltà di sostentamento. Tra il 1990 e il 2003, le severe sanzioni economiche degli Stati Uniti hanno avuto un pesante effetto sull’economia locale e sul benessere del popolo iracheno. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), il tasso di fame in Iraq ha raggiunto un livello molto alto a causa delle sanzioni e dell’embargo statunitensi. Solo tra il 1990 e il 1995, 500.000 bambini iracheni sono morti di fame e di misere condizioni di vita. In secondo luogo, la guerra incessante ha causato enormi perdite civili. Secondo il Ministero della Sanità iracheno, circa 120.000 civili iracheni sono stati uccisi tra il 2003, quando gli Stati Uniti hanno iniziato la guerra in Iraq, e il 2011, quando gli Stati Uniti hanno annunciato il loro ritiro. In terzo luogo, il modello politico imposto non si è rivelato adatto. Gli Stati Uniti hanno imposto all’Iraq la democrazia in stile americano indipendentemente dalle condizioni nazionali di quest’ultimo, solo per aggravare la lotta politica tra le diverse fazioni nel Paese. […]

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