Spagna: in Catalogna nasce il governo degli indipendentisti

Le forze indipendentiste catalane hanno trovato l’accordo per dare vita ad un governo guidato da Pere Aragonès.

Oltre tre mesi dopo le elezioni del 14 febbraio, la Catalogna ha finalmente visto la nascita di un nuovo governo guidato da Pere Aragonès, leader della Sinistra Repubblicana di Catalogna (Esquerra Republicana de Catalunya, ERC), principale forza dell’indipendentismo di sinistra. Divenuto capo dell’esecutivo ad interim dopo l’allontanamento di Quim Torra voluto dalle autorità di Madrid, Aragonès ha dovuto faticare non poco per trovare l’accordo tra le forze indipendentiste.

Se il CUP-CC (Candidatura d’Unitat Popular-Crida Constituent), altro partito di sinistra, aveva immediatamente dato il proprio sostegno al leader di ERC, lo stesso non è accaduto con il partito Junts per Catalunya (JxCat), la formazione dell’ex presidente Carles Puigdemont. Nelle due votazioni del 26 e del 30 maggio, i deputati di Junts avevano deciso di astenersi, impedendo ad Aragonès di raggiungere la maggioranza assoluta, fissata a 68 seggi sui 135 dell’emiciclo di Barcellona.

Tuttavia, l’occasione di un parlamento composto in maggioranza da deputati indipendentisti era un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela scappare. Dopo lunghe contrattazioni, i 32 deputati di Junts hanno dato il proprio assenso a sostenere l’investitura di Aragonès, che nella giornata del 21 maggio ha ottenuto 74 voti favorevoli e 61 contrari, provenienti dalle formazioni politiche nazionali spagnole, tutte contrarie alla via indipendentista.

In seguito all’inizio ufficiale del suo mandato come presidente della Generalitat de Catalunya, Aragonès ha chiesto di riavviare “immediatamente” i colloqui sull’indipendenza con Madrid, facendo apertamente riferimento alla situazione della Scozia, dove pure gli indipendentisti hanno ottenuto un’importante vittoria alle ultime elezioni. “Voglio che siamo come la Scozia. E mi piacerebbe che lo stato spagnolo si comportasse come ha fatto la Gran Bretagna nel 2014“, ha dichiarato Aragonès, ricordando che in quell’anno Londra aveva concesso agli scozzesi la possibilità di esprimersi attraverso un referendum, mentre Madrid non ha mai permesso l’organizzazione di una consultazione popolare in Catalogna.

Il nuovo governo di Aragonès “mira a garantire che l’indipendenza della Catalogna sia possibile”, secondo le parole dello stesso presidente. “Ora, dobbiamo risolvere questo conflitto politico attraverso il dialogo, la negoziazione, persevereremo in una trattativa che non sarà facile”, ha aggiunto l’erede politico di Quim Torra. Oltre all’organizzazione di un referendum per l’indipendenza, Aragonès ha chiesto anche un’amnistia per i separatisti condannati al carcere o fuggiti all’estero in seguito al tentativo di secessione del 2017.

Il 1º ottobre di quell’anno, infatti, la Catalogna tentò di organizzare un referendum indipendentista senza il consenso di Madrid, in cui oltre il 90% dei votanti si espresse in favore del distacco dal Regno di Spagna. Il 27 ottobre, il presidente Puigdemont proclamò l’indipendenza, ma il premier spagnolo Mariano Rajoy rispose con l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione, in base al quale la Catalogna viene commissariata e Puigdemont destituito. In seguito, lo stesso Puigdemont ed alcuni altri membri del suo governo furono costretti all’esilio in Belgio per sfuggire alla vendetta delle autorità spagnole.

In base alle dichiarazioni rilasciate fino ad ora, Aragonès non sembra intenzionato a scavalcare il governo centrale come fece Puigdemont. Il leader di ERC preferirebbe un accordo con Madrid, ma allo stesso tempo rivendica con forza il diritto dei catalani di esprimersi attraverso un referendum. Il socialista Pedro Sánchez, capo dell’esecutivo spagnolo, fino ad ora ha sempre risposto negativamente alle richieste della Catalogna, anche perché sa che una vittoria degli indipendentisti sarebbe assai probabile. L’indipendenza della Catalogna rappresenterebbe un duro colpo per la monarchia spagnola, e potenzialmente potrebbe segnare la fine della Spagna come la conosciamo, visto che altri territori, a partire dai Paesi Baschi, potrebbero chiedere di fare lo stesso.

Al contrario di ERC, il partito Junts di Puigdemont continua a sostenere la linea dell’indipendentismo duro, ovvero ritiene valida la dichiarazione unilaterale d’indipendenza del 27 ottobre 2017 e considera lo stesso Puigdemont come il presidente legittimo della Repubblica di Catalogna. Questo Stato sarebbe erede della Repubblica Catalana, un’entità esistita in varie fasi della storia spagnola, proclamata per la prima volta nel 1641 da Pau Claris.

Le rivendicazioni catalane uniscono dunque diverse istanze che portano al rifiuto del governo centrale di Madrid: da un lato abbiamo infatti il diritto di autodeterminazione del popolo catalano, dall’altro il rifiuto della forma di governo monarchica in favore di quella repubblicana. Entrambe non possono essere accettate dalla Spagna, e per questo appare improbabile che le parti possano venire ad un accordo a breve termine. Allo stesso tempo, se Madrid non dovesse concedere il referendum a Barcellona, offrirebbe il terreno a nuovi tentativi di forza da parte del governo catalano.

Il caso della Catalogna rappresenta solamente un esempio della crisi delle grandi monarchie europee. I due principali regni del continente, quello spagnolo e quello britannico, sono in piena crisi di legittimità, vista la scarsa considerazione di cui gode la corona in Catalogna e nei Paesi Baschi, così come accade in Scozia e Irlanda del Nord. Attualmente in Europa esistono sette regni (Danimarca, Norvegia, Svezia, Regno Unito, Spagna, Paesi Bassi e Belgio) di cui tre, i due citati in precedenza e il Belgio, sono attraversati da forti spinte separatiste e da movimenti antimonarchici, a dimostrazione della crescente intolleranza verso questa forma di governo.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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