Libano: il nuovo governo e il neocolonialismo francese

Le visite di Emmanuel Macron e le ingerenze del ministro degli esteri Jean-Yves Le Drian dimostrano il rinnovato interesse neocolonialista della Francia nei confronti del Libano, come denunciato anche dal Partito Comunista Libanese.

La Francia ordina e il Libano esegue. Possono essere riassunte in questo modo le recenti vicende della politica del Paese mediorientale, ancora alle prese con le conseguenze dell’esplosione avvenuta a Beirut lo scorso mese e più in generale con la crisi sociale ed economica che si protrae da mesi. Giovedì 27 agosto, il ministro degli esteri francese, Jean-Yves Le Drian, ha dato vita all’ennesimo esempio di ingerenza da parte di Parigi nelle questioni politiche libanesi, chiedendo la rapida formazione di un nuovo governo. Il precedente esecutivo, guidato da Saad Hariri, aveva infatti rassegnato le proprie dimissioni.

Casualmente, solo tre giorni dopo le esternazioni di Le Drian, il presidente libanese Michel Aoun ha chiesto un dialogo nazionale al fine di accelerare la formazione del nuovo governo in occasione dei cento anni dalla nascita del Grande Libano, uno Stato, formalmente autonomo, che faceva parte del mandato francese sulla Siria e sullo stesso Paese dei cedri (il Libano sarebbe in realtà divenuto indipendente solo nel 1943). “La celebrazione di quest’anno è arrivata nel mezzo di una crisi senza precedenti che non lascia spazio alla gioia, ma c’è ancora speranza per un vero cambiamento”, ha dichiarato in questa occasione Aoun.

Il capo di stato ha affermato che, prendendo atto della situazione, era giunto il momento di cercare una nuova formula per governare il Paese, per la quale ha invitato tutti i gruppi politici e sociali a creare un dialogo che definisca il nuovo sistema. Una delle proposte avanzate dal presidente nel suo discorso è stata quella di dichiarare il Libano uno “Stato laico“, come soluzione alla “crisi senza precedenti” che il Paese sta attraversando. “Chiedo che il Libano sia dichiarato Stato laico, affinché un dialogo che includa tutte le autorità politiche e religiose arrivi a una formula accettabile per tutti“, ha spiegato Aoun.

Lunedì 31 agosto, il parlamento libanese ha nominato Mustapha Adib nel ruolo di nuovo capo del governo. Ambasciatore in Germania dal 2013, Adib ha ricevuto il sostegno del partito del premier dimissionario Hariri, Movimento Futuro (Tayyar al-Mustaqbal), la principale forza sunnita del Paese, dall’altro ex primo ministro Najib Mikati e dagli sciiti di Hezbollah (Ḥizb Allāh, il “Partito di Dio”). Con novanta voti favorevoli sui 128 seggi che compongono l’Assemblea Nazionale di Beirut, Adib ha sconfitto il giudice della Corte internazionale di giustizia, Nawaf Salam, altro candidato al ruolo.

Il presidente libanese Michel Aoun ha sottolineato che “a nome dell’ufficio presidenziale libanese, dopo consultazioni con i parlamentari e in seguito a queste consultazioni, l’ambasciatore Mustapha Adib è autorizzato a formare un nuovo governo”. Nel suo primo discorso ufficiale, il nuovo premier ha dichiarato che “non c’è tempo per le parole e le promesse, ma ora è il momento di agire”.

L’investitura di Adib è arrivata proprio poche ore prima che il presidente francese Emmanuel Macron giungesse sul territorio libanese, per la sua seconda visita nell’arco di un mese. Al momento del suo arrivo, il presidente Aoun si è fatto trovare insieme al nuovo premier Adib, come a voler dimostrare a Macron di aver svolto con successo i compiti che questi gli aveva assegnato.

Come promesso, sono tornato a Beirut per rivedere gli sviluppi relativi agli aiuti di emergenza e per lavorare insieme per creare le condizioni per la ricostruzione e la stabilità”, ha detto il capo di stato francese, con atteggiamento a dir poco neocolonialista. Macron ha proseguito palesando ulteriori intromissioni negli affari politici libanesi, dopo aver già dichiarato nel corso della sua vita di agosto il “bisogno di un nuovo sistema in Libano”. Inoltre, ha formulato alcune critiche alle autorità politiche libanesi, ponendo delle condizioni per la prosecuzione degli aiuti da parte della Francia, ed affermando di voler “vedere i primi risultati di tutto ciò che è stato fatto per aiutare e sostenere la popolazione libanese in un mese”.

Hanna Gharib, leader del Partito Comunista Libanese (al-Ḥizb aš-Šuyūʿī al-Lubnānī – Parti Communiste Libanais), ha denunciato le interferenze di Macron e degli Stati Uniti negli affari interni del Paese: “Negli ultimi trent’anni, la Francia ha sostenuto tutti i governi libanesi, non solo politicamente, ma anche finanziariamente”, mentre ora chiede un cambiamento radicale rispetto alle politiche portate avanti in precedenza con il suo stesso sostegno. Il segretario dei comunisti libanesi ne ha parlato in un’intervista rilasciata al quotidiano francese L’Humanité il 31 agosto.

Parlando del rinnovato interesse di Macron nei confronti dell’ex colonia libanese, Gharib ha affermato che “Macron sta cercando di fare in modo che la Francia riguadagni una posizione forte in Medio Oriente, perché sa che ci sono molte altre forze internazionali che operano nella regione”. La posizione del Partito Comunista è contraria al piano di Macron e Aoun per la formazione di un governo di unità nazionale, in quanto questo in realtà “consentirebbe agli stessi di restare al loro posto”.

Per prima cosa proponiamo la creazione di un governo che ci permetterà di entrare in una nuova era. Questo dovrebbe essere composto da personalità che non siano membri di questi partiti settari al potere e che si trovino al di fuori dell’élite politica. Un governo che possa avere prerogative legislative per un periodo limitato. Chiediamo che venga emanata una nuova legge elettorale che non tenga più conto delle fedi e che il Libano sia considerato come un collegio elettorale unico nel contesto di un sistema proporzionale. È inoltre necessario disporre di un organo giudiziario veramente indipendente. I giudici devono essere in grado di arrestare i veri responsabili. E che, invece di uno stato confessionale, venga creato uno stato civile, laico e democratico. Inoltre, dobbiamo pensare alla creazione di un’economia produttiva e non più basata sulle importazioni, che crei posti di lavoro”, ha spiegato Aoun.

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About Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Dal 2012 si occupa di Vietnam, Paese dove risiede tuttora e sul quale ha pubblicato due libri: Educazione e socializzazione dei bambini in Vietnam (2018) e Storia delle religioni in Vietnam (2019). Ha inoltre partecipato come coautore ai testi Contrasto al Covid-19: la risposta cinese (Anteo Edizioni, 2020), Pandemia nel capitalismo del XXI secolo (PM Edizioni, 2020) e Kim Jong Un – Ideologia, politica ed economia nella Corea Popolare (Anteo Edizioni, 2020).

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